Con Alpha, Julia Ducournau firma il suo film più intimo e radicale. Dopo Grave e Titane, la regista francese continua a esplorare la mutazione come condizione esistenziale permanente. Ma stavolta, la metamorfosi è innervata di un legame inscindibile: quello tra una madre e una figlia, tra una generazione che si sacrifica e una che tenta di liberarsi. Al cinema dal 18 settembre con I Wonder Pictures.

Tredici anni
Alpha, la protagonista del film, ha 13 anni. Vive sola con la madre, una donna totalmente dedita agli altri: madre di Alpha, ma anche madre simbolica per i suoi pazienti, per il fratello, per chiunque le graviti intorno. La loro esistenza, già marcata da un equilibrio fragile, esplode il giorno in cui Alpha torna da scuola con un tatuaggio sul braccio. Da qui parte un percorso dove identità, corporeità e trauma si intrecciano, rivelando lentamente un passato occultato e un presente contaminato da una malattia misteriosa.
Il film si svolge in un tempo e luogo indeterminati. La malattia al centro della narrazione (inventata, ma visibilmente ispirata all’epidemia di AIDS degli anni ’80 e ’90) si trasmette e si teme, più ancora che per i suoi effetti fisici, per le implicazioni sociali che porta con sé: stigma, isolamento, vergogna. È una malattia che, più che uccidere, inchioda chi la porta a un’identità imposta.
Il mondo di Alpha
Alpha (interpretata da Mélissa Boros) è il fulcro emotivo e percettivo del film. È da lei che parte tutto: lo sguardo, il corpo, la trasformazione. Ancora bambina, ma già segnata da esperienze che le impongono di crescere troppo in fretta, Alpha incarna quella tensione continua tra il bisogno di autonomia e il peso del legame.
La madre (Golshifteh Farahani), figura centrale e onnipresente, non è solo un personaggio: è un simbolo. La regista la definisce una “Madre con la M maiuscola”, una figura totalizzante, quasi sacra, il cui amore è al tempo stesso nutriente e soffocante. È l’emblema del sacrificio, della cura elevata a missione collettiva, ma anche del trauma che si trasmette perché non viene elaborato.
Amin (Tahar Rahim) e gli altri personaggi, come l’infermiera (Emma Mackey), il professore d’inglese (Finnegan Oldfield) e il compagno (Frédéric Bayer Azem), ruotano attorno a questo nucleo madre-figlia, contribuendo a costruire un mosaico di relazioni frammentate, proiezioni e presenze percepite più che realmente vissute.

Mutazione e corpo
Come nei suoi film precedenti, Ducournau continua in Alpha a raccontare la trasformazione come condizione permanente, non come passaggio. Il corpo è osservato da vicino, quasi anatomizzato. Non c’è mai distanza o allegoria rassicurante. I cambiamenti fisici sono concreti, invasivi, e riflettono stati psichici e relazionali profondi. Qui, il tatuaggio iniziale è solo il primo segno visibile di un processo già in corso.
Uno dei temi centrali è la trasmissione del trauma da una generazione all’altra. Il concetto di “gisant”, figura morta che continua a esercitare la sua influenza, serve alla regista per dare forma a un dolore che non è stato elaborato e che continua a condizionare chi viene dopo. La morte non guardata in faccia diventa fardello ereditario.
La relazione tra Alpha e sua madre è al centro di tutto. Non si tratta di una semplice ribellione adolescenziale, ma di una lotta per l’identità, per staccarsi da una simbiosi troppo profonda. Separarsi da una madre che ha fatto della cura il proprio destino significa, in un certo senso, commettere un atto di violenza simbolica. È questo il cuore del film: l’emancipazione come strappo necessario, ma anche come colpa.
La malattia immaginaria del film è specchio di una paura più ampia: quella del diverso, del corpo contaminato, del pericolo invisibile. La società rappresentata è passata da un’epoca calda e condivisa (resa attraverso fotografie desaturate e sature di memoria) a un presente freddo, metallico, iper-controllato. La fotografia sottolinea questa transizione, alternando toni vintage e saturi nel passato a un presente desaturato, quasi industriale.
Lo sguardo di Alpha
Tutto il film è attraversato dallo sguardo di Alpha. Non solo nei momenti in cui è presente, ma anche in quelli dove è solo spettatrice mentale o immaginaria. La realtà è filtrata dai suoi fantasmi, dai suoi ricordi, dalle sue interpretazioni. La scena iniziale del tatuaggio lo chiarisce subito: il suo corpo cede il posto alla percezione, e lo spettatore è trascinato in uno spazio incerto dove sogno e intuizione si fondono con la realtà.
Alpha è un film estremamente stilizzato, ma la regia rifiuta ogni estetismo fine a se stesso. L’approccio alla recitazione è quasi documentario: niente filtri, niente pose. Gli attori vengono guidati verso i punti più vulnerabili della loro esperienza personale, costruendo così una verità emotiva che resiste anche agli elementi più visionari o disturbanti della messa in scena.
Alpha non è un film di genere, ma un film che ingloba il genere al suo interno, per andare oltre. Horror, fantascienza, body drama: tutto viene rielaborato per raccontare una storia concreta e universale. Ducournau non propone un racconto lineare, ma una discesa dentro il corpo e la psiche, dentro i meccanismi oscuri del legame materno e della trasmissione del dolore.
Con questo film, la regista sposta ancora più avanti il confine tra corpo e narrazione, tra emozione e immagine. Alpha è una domanda aperta, che resta sotto pelle ben oltre i titoli di coda.
Filmografia
Alpha
Drammatico - Francia, Belgio 2025 - durata 128’
Titolo originale: Alpha
Regia: Julia Ducournau
Con Mélissa Boros, Golshifteh Farahani, Tahar Rahim, Emma Mackey, Finnegan Oldfield, Jean-Charles Clichet
Al cinema: Uscita in Italia il 18/09/2025
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