Dopo averci mostrato la resistenza silenziosa contro il terrore in Timbuktu, Abderrahmane Sissako torna con un film che cambia registro ma non profondità: Black Tea, una storia di fughe volontarie, incontri inattesi e amore oltre confini. È un’opera che parla piano, ma arriva lontano. Al cinema dal 15 maggio con Academy Two.

Una fuga che è un inizio
All’inizio del film Black Tea, Aya (interpretata con grazia da Nina Mélo) compie un gesto rivoluzionario nel modo più quieto possibile: dice “no” al matrimonio, davanti a tutti, in Costa d’Avorio. Quel rifiuto è il primo passo verso una nuova esistenza, lontano da casa, lontano da un destino già scritto. Si trasferisce a Guangzhou, nel cuore pulsante della Cina contemporanea, dove lavora in una piccola bottega di tè.
In questo quartiere, dove “l’Africa parla cinese” e la diaspora africana incrocia la cultura Han, Aya incontra Cai (Chang Han), il proprietario del negozio. Uomo schivo, segnato dalle ferite del passato e dalla separazione dalla moglie Ying (Wu Ke-Xi), è proprio lui a introdurre Aya nella ritualità della cerimonia del tè.
“La cura con cui ti verso il tè è anche la mia lingua”, sembra dirle in ogni gesto. Tra loro nasce lentamente qualcosa che assomiglia all’amore, ma Black Tea non è un racconto romantico in senso classico. È piuttosto una meditazione visiva sulla possibilità di comprendersi senza parole, di riconoscersi nell’altro.
Tra sogno e realtà
Aya, la protagonista del film Black Tea, non è una “migrante economica” come il pregiudizio spesso vuole. È una viaggiatrice dell’anima. “Chi lascia il proprio paese, spesso se n’è già andato molto prima, dentro di sé”, ha spiegato Sissako. La sua fuga è una presa di posizione esistenziale, non solo geografica. La sua curiosità per la cultura cinese è autentica, così come lo è il dolore che porta con sé.
Cai, interpretato da un Chang Han misurato ma intenso, è un uomo spezzato, diviso tra dovere familiare e desiderio di rinascita. La sua ex moglie Ying (Wu Ke-Xi) rappresenta un’altra sfumatura della solitudine: una donna che osserva l’amore rinascere altrove, eppure trova la forza di non ostacolarlo.
Accanto a loro, una costellazione di personaggi secondari, dal parrucchiere Douyue al figlio di Cai, racconta altre storie di dislocamento, adattamento, speranza. Tutti cercano qualcosa che somiglia alla felicità, anche se spesso non sanno dove trovarla. Come dice uno di loro, “ho paura di non trovare mai il vero amore”. Paura universale, dolente, che attraversa il film come un filo rosso.

Un sogno filmato di notte
Girato in gran parte di notte, tra luci calde e ombre profonde, il film Black Tea è visivamente ipnotico. Il mercato dove si incontrano Aya e Cai sembra sospeso fuori dal tempo: “una miniatura di una realtà possibile”, ha detto il regista. La fotografia di Aymerick Pilarski è elegante, quasi onirica. La sensazione è quella di assistere a un sogno lucido, dove ogni dettaglio - una tazza, una carezza, una strada attraversata - diventa simbolo.
La musica di Armand Amar, e soprattutto la cover in lingua bambara di “Feeling Good” cantata da Fatoumata Diawara, amplifica questa dimensione sospesa tra malinconia e speranza. La frase “It’s a new day, it’s a new dawn” non è solo colonna sonora: è la promessa implicita che accompagna ogni gesto di Aya.
Un film politico, senza proclami
Sissako non rinuncia alla dimensione politica del suo cinema. Ma lo fa con la leggerezza di chi ha scelto la poesia come arma. Nel film Black Tea, la tensione politica è implicita nei dettagli: nella cena tra generazioni, dove emergono i conflitti culturali tra modernità e tradizione, o nella frase “Sulla via della seta non si va più avanti”, che denuncia l’incapacità del mondo di costruire ponti umani, non solo economici.
Il film mostra che un altro sguardo sull’Africa e sulla Cina è possibile, oltre gli stereotipi. “Oggi i cinesi e gli africani che migrano non sono colonizzatori o colonizzati”, ha spiegato il regista. “Sono semplicemente persone che cercano di capire l’altro, e lo fanno condividendo tè e parole”. Un’immagine semplice, eppure radicale.
Tè come gesto d’amore
La cerimonia del tè non è solo una tradizione: è il fulcro simbolico del film Black Tea. È il tempo rallentato, il rispetto per l’altro, la pazienza dell’ascolto. Quando Cai insegna ad Aya i movimenti precisi del rituale, in realtà le sta dicendo: “Qui puoi restare, qui puoi essere te stessa”. Non è integrazione, è dialogo. Aya non smette mai di essere africana. Ma diventa anche parte di quel mondo nuovo, in modo naturale, senza rinunce.
Black Tea è forse il film più romantico di Sissako, ma è anche il più universale. Parla d’identità senza ideologia, di amore senza sentimentalismo, di differenze senza paura. È un cinema umile, silenzioso, che non ha bisogno di effetti per lasciare il segno.
In un’epoca in cui il discorso sull’identità è spesso gridato o polarizzato, Black Tea suggerisce un’alternativa: “Guardarsi negli occhi, versarsi un tè, ascoltarsi. Forse è da lì che nasce la convivenza”. E questo, nel cinema contemporaneo, è un messaggio potente.
Filmografia
Black Tea
Drammatico - Francia, Mauritania, Lussemburgo, Taiwan, Costa d’Avorio 2024 - durata 111’
Titolo originale: Black Tea
Regia: Abderrahmane Sissako
Con Nina Melo, Han Chang, Ke-Xi Wu, Michael Chang
Al cinema: Uscita in Italia il 15/05/2025
Timbuktu
Drammatico - Francia 2014 - durata 100’
Titolo originale: Le chagrin des oiseaux
Regia: Abderrahmane Sissako
Con Ibrahim Ahmed, Toulou Kiki, Abel Jafri, Hichem Yacoubi, Kettly Noël, Fatoumata Diawara
Al cinema: Uscita in Italia il 12/02/2015
in streaming: su Prime Video
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