Il film Aznavour, prossimamente al cinema con Movies Inspired, racconta non solo la storia di un cantante leggendario, ma quella di un uomo che ha costruito se stesso contro ogni aspettativa. Un figlio di rifugiati, nato povero, con una voce giudicata inadatta, destinato secondo i più a rimanere nell’ombra. E invece Charles Aznavour è diventato un gigante della canzone francese, autore di oltre 1200 brani cantati in tutto il mondo. La sua vita, raccontata da Mehdi Idir e Grand Corps Malade con rispetto, emozione e uno sguardo umano, si fa materia viva di un biopic che va ben oltre la cronaca.

Un percorso che è romanzo
Il film Aznavour segue un tracciato narrativo preciso, scandito in cinque capitoli, ciascuno intitolato come una delle sue canzoni. Si parte da Les Deux Guitares, brano scritto in età adulta ma che racconta l’infanzia, e si attraversano le tappe che lo porteranno dalla miseria al riconoscimento globale. Ma non si tratta di un’agiografia: Aznavour non edulcora il passato né corre verso il trionfo. Si sofferma, piuttosto, sul margine, sul disagio, sullo sguardo degli altri.
I registi volevano, fin dall’inizio, concentrarsi su “le sue stagioni difficili, prima del successo, la sua vicinanza con Édith Piaf”, come ricorda Grand Corps Malade. Lo stesso Aznavour, quando era ancora in vita, aveva dato il suo benestare al progetto, desiderando che il film si fermasse lì, prima della svolta. “Ma non potevamo escludere gli anni Sessanta, la sua decade magica, volevamo che il pubblico potesse anche ascoltare le sue canzoni più celebri”.
Personaggi che esistono
Nel film Aznavour, Tahar Rahim si cala nei panni del mito senza mai cercare l’imitazione caricaturale. “Il nostro obiettivo era incontrarci a metà strada, io e Charles”, dice l’attore. Si è allenato per mesi al canto, al piano, alla danza, ha parlato come Aznavour per settimane, anche fuori dal set, e ha studiato a fondo ogni gesto, ogni sfumatura della sua voce. La somiglianza fisica è ottenuta con discrezione, senza maschere: il risultato è un’interpretazione vibrante, piena di sfumature e umanità.
Al suo fianco, Pierre Roche (Bastien Bouillon), primo partner artistico e grande amico, è una figura centrale. “Si può dire che la vera storia d’amore di Aznavour sia quella con Pierre Roche”, ammette l’attore, che porta sullo schermo un personaggio allegro, elegante, a volte frivolo, ma sempre presente nei momenti chiave. Il loro sodalizio artistico, segnato da intese, separazioni e ritorni, rappresenta uno dei motori emotivi più potenti del film.
Marie-Julie Baup dà voce e corpo a una Édith Piaf sorprendente, lontana dalla figura mitizzata: “Era una donna estremamente generosa, ma anche brutale, tagliente, capace di amare e di ferire nello stesso momento”. La scena della rottura tra lei e Charles viene raccontata come una fine sentimentale. “Ho recitato quella scena come se fosse la fine di una storia d’amore”, racconta l’attrice. Una scelta narrativa che trasforma i rapporti artistici in dinamiche profondamente umane.

Un’opera che guarda in profondità
Il film Aznavour non si limita a raccontare i fatti. Costruisce una riflessione più ampia sul talento, sull’identità, sulla solitudine, sul senso della famiglia e sul prezzo dell’ambizione. Charles Aznavour è un uomo che, pur amando profondamente i suoi cari, sacrifica spesso la presenza per inseguire la perfezione artistica. Lavora diciassette ore al giorno, non si ferma mai, eppure resta inquieto, come spinto da un vuoto. “Aveva una volontà fuori dal comune - raccontano i registi -, e un’energia rara. Ma la sua dedizione lo ha anche allontanato dai suoi affetti”.
Tale tensione attraversa tutto il film: da una parte la ricerca ostinata del riconoscimento, dall’altra la consapevolezza del dolore causato da certe scelte. Aznavour, con la sua voce velata e la sua statura minuta, è la personificazione del talento che si afferma contro ogni previsione. Ma è anche l’immagine di un uomo solo, che neanche l’amore di Piaf, di Roche o della sorella Aïda riesce a trattenere. “C’è qualcosa in lui che lo spinge sempre oltre, che nessuno riesce a seguire”, dicono Idir e Grand Corps Malade. E questo movimento incessante, tra abisso e vetta, è ciò che rende il film così toccante.
Il tema dell’immigrazione, poi, è ovunque, senza mai essere esplicitato. Charles Aznavour è un figlio di apolidi, che la Francia inizialmente rifiuta e poi elegge a simbolo nazionale. Aprire il film con le immagini dell’esodo armeno e chiuderlo con la voce di Claire Chazal che racconta la sua ascesa è, come ammette Grand Corps Malade, “un gesto politico”. E insieme, un tributo silenzioso a tutti gli invisibili.
Un biopic che ha il coraggio dello stile
La regia del film Aznavour è precisa, ispirata, mai gratuita. I due registi osano movimenti di macchina ariosi, piani-sequenza, raccordi creativi, senza perdere mai il fuoco sui personaggi. “Volevamo che il pubblico si sentisse sul palco con Charles”, spiegano. E ci riescono. La scena della performance di J’me voyais déjà è girata in un unico piano-sequenza, dove il dubbio lascia spazio all’euforia. L’uso della spidercam (solitamente riservata agli eventi sportivi) dà corpo alla dimensione spettacolare della musica, mantenendo però sempre l’aderenza emotiva.
La fotografia di Brecht Goyvaerts accompagna ogni fase della vita di Aznavour con colori e texture differenti. “All’inizio c’è il marrone dei quartieri poveri, poi il verde della guerra, il rosso del successo”, dicono i registi. I costumi (straordinari, firmati Isabelle Mathieu) raccontano in modo sottile l’evoluzione dei personaggi: Charles parte con abiti larghi e sdruciti, finisce vestito con eccentricità barocca.
Il lavoro sulle musiche è puntuale: ci sono i grandi classici ma anche brani meno noti, selezionati con cura, incastonati nella narrazione per evocare momenti, stati d’animo, passaggi cruciali.
Un omaggio che sa essere anche universale
Aznavour è un film che commuove senza forzature, che riesce a essere fedele e personale al tempo stesso. Il biopic si fonde con la memoria collettiva, ma anche con le storie individuali di chi guarda. È cinema popolare nel senso più nobile: quello che parla a tutti perché parte da un’emozione vera.
Alla fine, Aznavour non è solo un ritratto. È uno specchio, un eco, una domanda su quanto siamo disposti a perdere per restare fedeli a ciò che siamo. E, come dice Tahar Rahim, “quando oggi ascolto una sua canzone, il mio cuore accelera: è felice”.
Un film che resta addosso. E che rende giustizia a un uomo che ha cantato per tutti, ma ha sempre saputo dire “io”.
Filmografia
Aznavour
Biografico - Francia 2024 - durata 134’
Titolo originale: Monsieur Aznavour
Regia: Mehdi Idir, Grand Corps Malade
Con Tahar Rahim, Soufiane Guerrab, Bastien Bouillon, Sharon Mann, Petra Silander, Rupert Wynne-James
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