Il film Jastimari, presentato in anteprima mondiale al Taormina Film Festival e prossimamente in sala con Fandango, racconta ciò che accade quando l’uomo si rifugia nella paura per sentirsi al sicuro. Una frase torna più volte, come una litania scolpita nella pietra: “Qualsiasi cosa accada, vostro padre vi proteggerà”. Ma è davvero una promessa? O una maledizione?


Con Jastimari, prodotto da Indaco Film, Cinnamon e PFA, Riccardo Cannella firma un’opera che fonde mistero, folklore e distopia, ambientandola in una Sicilia ancestrale, dove i confini tra presente e passato si dissolvono, come nebbia tra gli alberi secolari delle Madonie. È lì che una famiglia si rifugia per sopravvivere al contagio del mondo. Ma ciò da cui si fugge finisce per annidarsi dentro.

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Jastimari (2025) scena

Quando la salvezza diventa prigione

Il film Jastimari ci porta in un casale isolato tra i boschi delle Madonie. È qui che vive una famiglia guidata da Saro, figura paterna autoritaria e protettiva. Con la moglie Teresa e i due figli, Angelo e Lelè, ha scelto di sottrarsi al mondo moderno, rifugiandosi in una quotidianità austera, regolata da rituali e precetti rigidi. Le loro giornate sono scandite da regole ferree: evitare il bosco, non oltrepassare il fiume, restare uniti e diffidare di tutto ciò che è esterno.


Ma qualcosa nel bosco si muove. Un vecchio malato si avvicina alla fattoria, suscitando il panico. È il primo segnale che il mondo da cui si sono ritirati bussa di nuovo alle loro porte. Saro reagisce con violenza, riaffermando il confine tra dentro e fuori, tra ciò che è protetto e ciò che è contaminato.


L’arrivo inaspettato di una seconda famiglia rompe definitivamente l’equilibrio. Luciano si presenta con le figlie adolescenti Marta e Veronica, sostenendo che la casa apparteneva ai suoi genitori. Il confronto tra i due padri è inizialmente teso, ma giunge a un compromesso: convivenza forzata in nome della sopravvivenza.


Le ragazze, però, incarnano un’epoca diversa. Portano con sé tecnologia, desideri, memoria di un mondo urbano e libero. Il contatto con Angelo e Lelè genera attrazione, gelosie, tensioni. Intanto, nei boschi, si addensano presenze sempre più inquietanti: rumori inspiegabili, animali contagiati, visioni notturne. Al centro di tutto, una figura mitica e deforme (una presunta strega che vive isolata nella foresta) che si rivela il fulcro delle paure e dei sospetti della famiglia.


Mentre i sintomi del contagio cominciano a manifestarsi, prima su Angelo, poi su Veronica, la paranoia cresce. Il piccolo Lelè, educato a temere e a sacrificare, convince se stesso che l’unico modo per salvare il fratello sia offrire un sacrificio alla strega. Uccide Marta, nel tentativo tragico di “fare la cosa giusta”.


La spirale di violenza si chiude con la vendetta di Luciano, che scopre la verità su Saro, dando il via a quello che sarà un confronto finale feroce e simbolico, segnato in modo irreversibile dal sangue e dalla paura.

Un film sulle ferite invisibili della paura

I personaggi del film Jastimari sono incarnazioni di archetipi umani, scolpiti dalla diffidenza e dalla necessità. Saro (Francesco Foti), patriarca ambivalente, protegge i figli ma li controlla con ossessione. È guida e carceriere, e nella sua ostinata volontà di salvezza traspare il germe della rovina. Teresa (Rossella Brescia), sua moglie, è figura silenziosa e devota, ma con uno sguardo che sembra sapere più di quanto dica.


Angelo (Giuseppe Lanza) e Lelè (Simone Bagarella), i figli, sono prigionieri di un mondo che non comprendono del tutto. Il primo è diviso tra obbedienza e desiderio, il secondo, il più piccolo, finirà per replicare la violenza che ha visto: non per malizia, ma per cieca dedizione. La sua scelta più estrema, che egli vive come sacrificio, nasce da ciò che gli è stato insegnato: “Tieni al sicuro la tua famiglia”.


Luciano (Fabio Troiano), figura esterna, porta con sé un altro tipo di fallimento: quello di chi ha rinunciato al proprio passato per poi tornarvi troppo tardi. Le sue figlie, Marta (Irene De Gaetano) e Veronica (Angela Motta), incarnano il cortocircuito culturale tra città e isolamento: inadatte alla campagna, incapaci di comprendere il codice morale che governa la fattoria, diventano scintille in un ambiente già saturo.

Rossella Brescia
Jastimari (2025) Rossella Brescia

Metafore, superstizione e l’eredità del contagio

Il titolo stesso del film, Jastimari, evoca il concetto di “maledizione”: dal siciliano, ma anche dall’antico spagnolo lastimar, “far male”. È il dolore che passa di padre in figlio, è la colpa che si tramanda come un’eredità invisibile. Riccardo Cannella lo chiarisce: “Credere alle streghe rivela un nostro lato infantile e irrazionale. Ma in stato di crisi, quella credenza può diventare violenza pura”.


La strega del bosco, figura archetipica e deforme, non è una nemica: è un simbolo. È l’altro da sé, il margine, il diverso. E nel momento in cui il giovane Lelè, educato a temere, compie l’irreparabile, la metafora si chiude su sé stessa: l’orrore non è ciò che incontriamo fuori, ma ciò che decidiamo di giustificare dentro di noi.

Un film che interroga

La regia di Riccardo Cannella si avvale di una struttura narrativa essenziale, ma densa, dove l’atmosfera conta quanto la trama. Il tempo rallenta, si espande. La tensione non nasce dal ritmo, ma dall’attesa, dal silenzio. Daniele Ciprì, alla fotografia, costruisce un universo fatto di ombre e lume di candela, in cui la luce naturale e il fuoco restituiscono verità cruda alla messa in scena.


La scenografia di Marco Dentici scolpisce uno spazio visivamente potente: una Sicilia mitica e insieme iper-reale, sospesa tra medioevo e fine del mondo. Le musiche, ispirate ai canti popolari e ai cori sacri islandesi, diventano presenza sensoriale, avvolgente, tribale.


Jastimari
non redime e non consola: è un film che si chiude nel dubbio, nella contaminazione, nel sangue. Un film che ci ricorda che i mali più insidiosi non sono quelli che ci infettano il corpo, ma quelli che attecchiscono nella mente, nella cultura, nella famiglia. E mentre i personaggi si spogliano delle loro illusioni, ci interroga su quanto siamo disposti a sacrificare per sentirci al sicuro. La risposta, inquietante, è che a volte, tutto.


Con Jastimari, Cannella non si limita a costruire un racconto di paura. Realizza un film politico, morale, universale. Parla del presente travestendolo da leggenda. Mostra quanto sia facile confondere protezione con dominio, e quanto il male non abbia bisogno del soprannaturale per agire: gli basta un pretesto. Un padre, un confine, un figlio pronto a credere.


Un film che inquieta perché riconosciamo il mondo da cui fugge. Ma anche quello in cui, forse, viviamo già.

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Jastimari (2025) scena

Filmografia

locandina Jastimari

Jastimari

Horror - Italia 2025 - durata 90’

Regia: Riccardo Cannella

Con Giorgio Colangeli, Rossella Brescia, Francesco Foti, Fabio Troiano