Nel panorama delle nuove voci del cinema italiano, il film Gioia mia, opera prima di Margherita Spampinato in concorso a Locarno nella sezione Cineasti del Presente, si presenta come un racconto stratificato sull’incontro (o scontro) tra due universi apparentemente inconciliabili: quello ipermoderno e digitale di un ragazzino undicenne e quello antico, spirituale e immobile di una zia solitaria nella Sicilia più atemporale.
Prossimamente al cinema con Fandango, il lungometraggio parte da una premessa semplice ma strutturalmente densa: un’estate forzata diventa il detonatore per un cambiamento profondo in due personaggi lontani per età, valori, ritmi e sguardo sul mondo.

Un incontro scontro
Nico, il piccolo protagonista del film Gioia mia, ha undici anni, vive in una realtà urbana, secolare, frenetica, connessa. Il suo mondo è fatto di videogiochi, social, prestazioni scolastiche, routine digitali.
Ma qualcosa cambia: per l’estate viene spedito in Sicilia, nella casa dell’anziana zia Gela, una donna profondamente religiosa, isolata, in un’abitazione ferma nel tempo e nello spazio, dove la tecnologia è bandita e il silenzio è rotto solo dalle preghiere, dai rosari e da racconti inquietanti che mescolano fede, leggenda e superstizione. Nessun Wi-Fi, nessun elettrodomestico. Soltanto mobili antichi, memorie congelate e spiriti che, si dice, abitano le stanze.
Lo scontro è immediato: Nico è insofferente, Gela è intollerante. Ma ciò che inizia come un’estate di sopportazione reciproca si trasforma in una lenta e imprevista forma di coabitazione affettiva. Un legame si costruisce tra i due, stratificato nel silenzio, nei rituali quotidiani, nel mistero condiviso, fino a diventare essenziale per entrambi.
Due generazioni diverse
Nico, interpretato da Marco Fiore, è il protagonista bambino del film Gioia mia, con tutte le contraddizioni della sua età: ribelle, irrequieto, curioso, ma anche fragile, soprattutto di fronte alla separazione imminente dalla tata, figura affettiva chiave. Il suo è un personaggio che rappresenta il presente, la razionalità, ma anche il bisogno irrisolto di protezione e di significato.
Gela, affidata alla solidissima esperienza di Aurora Quattrocchi, è una donna barricata nel passato. Vive secondo un ordine assoluto, regolato dalla religione e dalla ripetizione rituale. È scorbutica, chiusa, eppure non immune al dolore: dietro il suo rigore si nasconde un’antica ferita mai rimarginata, un amore perduto che ha congelato la sua vita.
Attorno a loro si muove un cast corale, fatto di bambini del vicinato, vecchie amiche dell’Azione Cattolica, e figure emblematiche del microcosmo siciliano. Non semplici comparse, ma frammenti del mondo che Gela vuole preservare e che Nico cerca di decifrare.

Il confronto e la paura
Il centro tematico del film è il confronto tra generazioni, ma il film Gioia mia non si limita a raccontare un dialogo tra vecchio e nuovo. Lo scarto è più profondo: è il confronto tra razionalità e credenza, velocità e lentezza, connessione digitale e isolamento umano, tra il bisogno di controllo e quello di abbandono.
Uno dei motori narrativi principali è la paura: quella infantile e concreta di Nico per le leggende di spiriti che aleggiano nel vecchio palazzo, e quella più sotterranea e adulta di Gela, che riguarda la perdita, l’amore non vissuto, la solitudine scelta come scudo.
Il mistero, che si presenta come elemento soprannaturale, è in realtà un pretesto narrativo per affrontare paure molto terrene: crescere, separarsi, accettare l’invisibile che ci abita. Il gioco proibito a cui Nico partecipa diventa un vero rito di passaggio. La leggenda degli spiriti è la forma con cui il bambino proietta e affronta i propri fantasmi interiori. E quando li smaschera, il passaggio all’età successiva è compiuto.
Gela, dal canto suo, è costretta a riesaminare il proprio passato. Nico la destabilizza, ma anche la costringe a riaprire porte chiuse da anni. Il suo racconto finale, intimo e rivelatorio, ribalta i ruoli: è lei, alla fine, ad avere bisogno di essere ascoltata.
Un racconto di formazione
Girato in Sicilia, in una casa-palazzo che diventa personaggio essa stessa, il film Gioia mia utilizza lo spazio come memoria fisica e simbolica. I dettagli scenografici e i costumi ricostruiscono un tempo sospeso, immobile, volutamente in contrasto con l’iperconnessione del mondo da cui proviene Nico.
Il film lavora su due velocità: quella rapida dei primi minuti, legata al mondo di Nico, e quella più dilatata e contemplativa della permanenza nella casa. Questa differenza si riflette anche nella regia, firmata da Spampinato, che costruisce il ritmo del racconto senza forzature, lasciando spazio alla trasformazione sottile dei protagonisti.
Gioia mia è un racconto di formazione, ma non solo per il bambino. Anche l’adulta è costretta a cambiare, o almeno a esporsi. È un film che riflette su ciò che resta quando il rumore del mondo si spegne. Su come la memoria si trasmetta non per spiegazione, ma per immersione. E su quanto ancora possa essere fertile lo scambio tra chi è appena arrivato e chi ha visto troppo per credere ancora nel futuro.
La domanda che attraversa tutto il film è semplice ma urgente: cosa abbiamo perso lasciandoci alle spalle l’infanzia nostra, ma anche quella del mondo? E cosa possiamo ancora salvare se ci fermiamo ad ascoltarla?
Filmografia
Gioia mia
Sentimentale - Italia 2025 - durata 90’
Regia: Margherita Spampinato
Con Aurora Quattrocchi, Marco Fiore, Martina Ziami, Camille Dugay
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