Mettiamo che ve lo racconti così questo incipit. Susy, una ragazza americana giovane e graziosa, esce dall’aeroporto tedesco dov’è appena arrivata e, appena fuori, si bagna fino al midollo per la pioggia, cercando disperatamente un taxi sotto un temporale da fine del mondo. Se ne ferma uno, ma l’autista è un cafone (che neppure l’aiuta con i bagagli), anche scontroso e antipatico, perché all’inizio finge di non capire quello che lei gli sta dicendo come indirizzo. Poi s’avvia, mentre il diluvio continua nel suo parossismo tra fulmini e tuoni fino alla destinazione, un palazzone rosso sede di una prestigiosa accademia di danza dove la giovane è diretta per migliorarsi come ballerina.

Siate sinceri. Se non foste in questa rubrica e non aveste già letto di che film si tratta, riconoscereste la sequenza d’apertura di Suspiria di Dario Argento? Magari sì, soprattutto quando si cita l’accademia di danza alla fine. Però, appunto, raccontare, così poi, questo incipit non gli rende giustizia. Il che cosa non basta, senza il come. Come Argento gira questa sequenza che correrebbe il rischio di sembrare prosastica. O puramente funzionale. Ma si sa che Argento, una volta almeno, riusciva a mettere i brividi anche girando la più banale delle situazioni.

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Suspiria

E, dunque, ripercorriamo l’incipit di Suspiria questa volta badando anche al come. Intanto, prima ci sono stati i titoli, bianchi su fondo nero, inaspettatamente sobri rispetto al profluvio di colori Technicolor stesi da Luciano Tovoli a campiture densissime, quasi gocciolanti sui nostri occhi, che si scateneranno subito dopo per tutto il film. Peraltro a movimentare quei titoli pensa la colonna sonora rock-progressive dei Goblin (e Argento medesimo), con le sue dissonanze minacciose, che si zittisce all’improvviso proprio quando compare il titolo, per cedere il passo a quella magnifica e indimenticabile cantilena-nenia con vocine e sussurri incomprensibili sullo sfondo. Non solo: d’improvviso si aggiunge la voce over chioccia e strascicata di Argento che butta lì: “Susy Bennet decise di perfezionare i suoi studi di balletto nella più famosa scuola europea di danza. Scelse la celebre Accademia di danza di Friburgo. Partì un giorno alle 9 di mattina dall’aeroporto di New York e giunse in Germania alle 10.45 ora locale”. (E, certo, ve l’avessi raccontato così, di sicuro l’avreste riconosciuto subito...).

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Parrebbe l’inizio di una favola, buffamente aggiornata al presente, e in un certo senso Suspiria è proprio una favola (nera). Fa sorridere quella precisione un po’ pedante sugli orari, anche perché, finiti i titoli, la prima immagine che vediamo è giusto su un tabellone degli orari all’aeroporto (dove però il volo da New York risulta arrivato alle 10.40, non alle 10.45), anche se la mdp scende subito a destra rapidamente sulle porte degli arrivi che si aprono e la folla dei passeggeri che ne esce.

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Suspiria

L’inquadratura successiva tiene al centro la nostra protagonista, Susy Bennett (Jessica Harper, uno dei tanti furti reciproci tra Argento e De Palma, qui del primo al secondo, dal suo Phantom of Paradise/Il fantasma del palcoscenico nel 1974), subito prima intravista tra la folla degli arrivi, che cammina verso di noi. Si sente solo il brusio della gente, inframezzato dagli annunci dell’altoparlante, ma la cantilena nenia dei titoli ritorna brevemente ogni qual volta si aprono le porte scorrevoli sull’esterno (buio, ventoso, freddo).

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Anzi, pare proprio filtrare da fuori, per Susy e per noi che guardiamo l’uscita che si avvicina con i suoi occhi. Infatti, riesplode definitivamente quando la ragazza, attraversando le porte automatiche – un doppio raccordo sulla guida di scorrimento in apertura e chiusura inaspettatamente interrompe una ripresa che poteva essere unica – esce dall’aeroporto. Ed entra – letteralmente – nella furia della tempesta.

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La ricerca affannosa del taxi sotto pioggia e vento, accompagnata da un movimento laterale, ha quasi le movenze di una danza. E, quando Susy è a bordo della vettura, con l’autista scontroso e indisponente (Fulvio Mingozzi, faccia argentiana ricorrente in piccoli ruoli), che s’è fermato senza scendere ad aiutarla con i bagagli e poi finge di non capire (“Ah! Escher Strasse!”, Escher, ovvio...), salvo poi rispondere come se niente fosse poco dopo a una sua domanda sul tempaccio da cani, il campo/controcampo tra i due mette inquietudine.

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Come anche, nel viaggio di notte nella tempesta, lo spostarsi senza un perché della mdp mentre l’auto curva su una serie di scarichi d’acqua, avvicinandovisi con un duplice raccordo sull’asse, l’inabissarsi in un tunnel stradale sotterraneo, il dettaglio della grata di un tombino, di nuovo avvicinato con un raccordo sull’asse.

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Hanno un significato queste cose, come sostiene chi pensa che Suspiria (come Inferno) sia un film a chiave, costruito su continui enigmi in scatole cinesi (incluso, pare, il volto di Argento urlante riflesso per un istante in un vetro del taxi), oppure no? La domanda è, piuttosto: importa davvero? Come pure importano (e significano qualcosa) i colori impossibili che illuminano e accendono il volto di Susy con i suoi occhioni sgranati e l’abitacolo dell’auto durante il viaggio? Probabilmente sarebbero piaciuti a Mario Bava che con le sue gelatine colorate è subito dietro l’angolo.

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Oltre le immagini, però, ancora tiene banco la musica, che con bell’effetto, esplode davvero quando, in mezzo al bosco tutto alberi alti e scheletrici, s’intravedono i fari dell’auto, a suggerire un elemento visivo che si fa suono (e viceversa). Così, all’arrivo di Susy alla Tanz Academy e alla sua sinistra facciata rossa, l’inquietudine è già alle stelle. Anche se, appunto, abbiamo visto solo una ragazza che esce dall’aeroporto e prende un taxi sotto la pioggia.

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Suspiria

Una porta si apre, l’ennesima soglia in quest’inizio, una ragazza ne esce furente urlando contro qualcuno dentro. Siamo pronti a entrare con Susy ora, e a entrare anche nell’orrore, tra le streghe e i loro succubi, che di lì a poco esploderà in tutta la sua lussureggiante e violenta bellezza.

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Ma, in fondo, in Suspiria ci siamo già entrati con un incipit che è tale tre volte. Ci fa entrare nel film, certo, ma fa anche entrare Susy in una vecchia Europa inquietante e fuori controllo, sottraendola, lei giovane americanina quadrata e razionale, alla tranquillità rassicurante e anodina della sua vecchia vita, rappresentata dal moderno aeroporto, dove ogni cosa sembrava al posto giusto. Ovviamente, poi, c’è un ulteriore ingresso, quasi simbolico: quello di Argento, reduce dai suoi gialli ancora con i piedi per terra (per quanto potessero essere con i piedi per terra davvero), dentro il fantastico alchemico e l’horror soprannaturale, tramite l’allora compagna attrice Daria Nicolodi. Non si torna, insomma, più indietro (e, infatti, anni dopo, il ritorno al giallo con Tenebre non potrà più prescindere dalle forze oscure e irrazionali scatenate in Suspiria e Inferno).

Autore

Rocco Moccagatta

Studiava giurisprudenza, ma andava più spesso al cinema di quanto avrebbe dovuto. Dopo l'università, fa la cosa giusta e comincia a occuparsi davvero di film, persino professionalmente. Oggi lo insegna pure, il cinema, in IULM e in altre università del regno, soprattutto il cinema classico e il cinema dei generi popolari, la sua passione da sempre. Per campare guarda anche molta televisione, visto che lavora come scenarista e analista dei media presso la factory di media research Neopsis. Ha scritto e scrive da tante parti, da Duel/Duellanti a Marla, da Ottoemezzo a L'officiel Homme.

Il film

locandina Suspiria

Suspiria

Horror - Italia 1977 - durata 100’

Regia: Dario Argento

Con Jessica Harper, Stefania Casini, Alida Valli, Flavio Bucci, Miguel Bosé

Al cinema: Uscita in Italia il 30/01/2017

in streaming: su Apple TV Amazon Video Rakuten TV Chili Amazon Prime Video