Dal 21 al 28 gennaio 2023 le sale del capoluogo del Friuli Venezia Giulia saranno invase da film provenienti dai Balcani, dal Caucaso, dai Carpazi e dall’Asia centrale: torna il Trieste Film Festival, appuntamento dedicato al cinema dell’Europa orientale. Ci facciamo raccontare l’edizione del 2023 dalla direttrice Nicoletta Romeo.

In solo un anno il conflitto in Ucraina ha stravolto la geopolitica e ridisegnato i confini dell’Europa: quali sono state le più immediate conseguenze industriali e creative sulle cinematografie dei paesi coinvolti?
In termini di produzione l’Ucraina è esplosa: c’è stata una forte solidarietà, tutti si sono attivati per facilitare l’integrazione del cinema ucraino in Europa. Questo ha permesso ai registi ucraini di non sentirsi isolati, di avere una vetrina, di non dover abbandonare film che erano ancora in post-produzione. Nel nostro caso abbiamo dedicato proprio alle registe ucraine la sezione Wild Roses: presentiamo per esempio Klondike di Maryna Er Horbac, la storia di una donna contesa tra marito e fratello, l’uno separatista e l’altro no. In concorso poi abbiamo Butterfly Vision di Maksym Nakonečnyj, la storia di una donna che cerca di tornare alla normalità dopo essere stata fatta prigioniera dei russi. Non c’è solo la guerra, però: Pryvoz di Eva Nejman, ambientato nel mercato di Odessa, parla di vitalità, di scambi... Nel concorso documentari poi abbiamo il lavoro di un giovanissimo, Ihor Ivan’ko, che nel suo Fragile memory racconta la storia del nonno malato di Alzheimer, regista e direttore della fotografia sovietico. Un film che lavora quindi sulla memoria privata e collettiva.

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Klondike


E i russi?

Il festival è sempre stato un luogo d’incontro: negli anni 90 ospitavamo registi serbi, croati, bosniaci che qui si sentivano a casa, potevano parlare di cinema e scambiarsi idee. Quest’anno non potrà essere la stessa cosa, ma non dimentichiamo le voci dei dissidenti russi. In moltissimi hanno lasciato il paese, basti pensare a Kantemir Balagov o a Kira Kovalenko. Noi presenteremo The New Greatness Case, che ha documentato il nuovo terrore che regna a Mosca, la storia di un gruppo di giovani arrestati con l’accusa di terrorismo. 

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The New Greatness Case



In programma ci sono film di Hilal Baydarov e Darezhan Omirbayev, ormai habitué del festival. Quali caratteristiche deve avere un autore per spingervi a farlo “vostro”?
Con Baydarov è stata una folgorazione: quest’anno ci sarà Sermon to the Fish, il primo film di una trilogia dedicata alla guerra, da un altro paese difficile come l’Azerbaigian. Di Omirbayev abbiamo fatto vedere tutti i film, ma questo Poet è veramente la punta di diamante: è la storia di un poeta che si interroga sul senso del fare poesia, e di conseguenza su un regista che si chiede perché valga la pena continuare a fare cinema autoriale, oggi. Sono le stesse domande che ci poniamo noi che organizziamo il festival, e che ci impuntiamo su un cinema che magari non arriva in sala, di cui i giornalisti non scrivono, che la gente non viene a vedere. Siamo dei dinosauri in attesa del meteorite o invece ha senso continuare a fare resistenza culturale, esattamente come fanno Omirbayev o Baydarov?

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Poet


Ecco, quelle che trattate sono aree geografiche spesso “misteriose” per il pubblico non specializzato. Da dove vengono oggi le voci e le tendenze più interessanti?

È un paradosso, ma sono sempre i paesi più poveri - o afflitti da guerre, o con scarsa capacità produttiva - a offrire di più. Questo perché gli artisti sono molto motivati, e anche con pochi mezzi riescono a raccontare storie straordinarie: penso per esempio al Kosovo, alla Serbia o al Montenegro, il cui cinema ha mantenuto una sua identità e sincerità. Altre nazioni invece guardano molto a modelli americani e hanno fatto compromessi da cui però non si torna indietro. Polonia e Repubblica Ceca per esempio producono molto, sono arrivati sulle piattaforme e hanno film campioni d’incasso, ma mi pare ci sia meno vitalità dal punto di vista artistico. La ricerca insomma è più viva nei paesi lontani dai mercati, dai festival, dalle scuole e dal “sistema cinema”.

Autore

Maria Sole Colombo

Maria Sole Colombo è nata a Lecco, ha studiato a Bologna e vive a Roma. Si è innamorata del cinema grazie a Senso di Luchino Visconti e da allora ne parla e ne scrive su Film Tv, Spietati.it, Cinefilia Ritrovata e NeuRadio. Ama i viaggi selvatici in posti in cui nessuno parla inglese, il binge watching e lo sport (da guardare, eh, non da praticare). Ironia della sorte: se potesse salvare un unico titolo dall’apocalisse nucleare, sceglierebbe Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick.