Non sei tu, e per una volta non sono nemmeno io. È più il conflitto settario, etno-nazionalista, asimmetrico e a bassa intensità che macchia di sangue – il più delle volte innocente – le strade della nostra città. Difficile trovare una motivazione più cogente per giustificare la tragedia di un amore irrefrenabile che sembra destinato a non risolversi a causa dell’odio atavico che circonda i due protagonisti. È questo il nervo scoperto preso a pugni da Trespasses, miniserie nordirlandese distribuita nel Regno Unito da Channel 4 ed egregiamente adattata dall’omonimo romanzo di Louise Kennedy.

1975, in un paesino in provincia di Belfast, sei mesi prima che un edificio finisca bruciato – si presume con dolo precisamente indirizzato, visto che i palazzi vicini sono sereni come delle pasque, al massimo con un po’ di tosse. A proposito di Pasque, hai presente cosa succedeva a Belfast e provincia nel 1975? Succedeva che i cristiani si ammazzavano tra loro. E “cristiani” non si intende come sineddoche per l’intero genere umano, come si usava spensieratamente fino a vent’anni fa perché il mondo era più ignorante e non sembrava troppo insensibile come scelta, quella di utilizzare il termine “cristiano” al posto di “persona” come se tutti fossero quella cosa lì. No. Qua si intende gente che si professa cristiana che si ammazza vicendevolmente e con più cattiveria possibile con altra gente che si professa cristiana, però con delle sfumature diverse. E poi siamo quelli che “ma cosa ci vuole a sistemare quella scaramuccia secolare Medio Oriente ah se solo facessero fare la formazione a me”, come se la punta al piffero con il temperamatite religioso non ce la fossimo inventata noi.

Detto questo – ovviamente rimarcando che i trentennali conflitti tra protestanti dell’Ulster e cattolici irlandesi hanno avuto qualcosa a che fare con la religione e molto a che fare con la politica, la Storia e la maledetta tracotanza colonialista degli inglesi – nel 1975, a Belfast e provincia, si respirava una certa aria di pesantezza sempre pronta a esplodere, sia letteralmente sia metaforicamente.
Cushla Lavery è rossa come il fuoco, ha poco più di vent’anni, è adorabile ma non si fa mettere i piedi in testa, lavora come maestra elementare in una scuola cattolica, ha una mamma vedova (Gillian Anderson) che affoga la tristezza in ettolitri di gin, ed è disgustata dallo stato delle cose, essendo una di quelle persone che non fanno la minima fatica a distinguere tra l’essere umano e l’etichetta di cattolico o protestante che gli viene appiccicata. Quando non è a scuola, non raccoglie la madre ciucca dal pavimento della cucina o non si occupa – fuori dall’orario di lavoro – di rendere meno miserabile l’esperienza di vita di due bimbi la cui unica colpa è di essere nati all’interno di un matrimonio misto, Cushla aiuta il fratello Eamonn a gestire il pub di famiglia, che assomiglia sinistramente all’edificio bruciato dell’incipit.

Michael Agnew è nero e grigio, ha quaranta e passa anni, ha una moglie alcolizzata, la fama di dongiovanni che ti cava le mutande solo con lo sguardo, ed è un brillante avvocato nato in una famiglia protestante, che in paese trattano tutti con le pinze dal momento che si è specializzato nella difesa di giovani cattolici accusati di atti terroristici, spinto dalla convinzione che dar loro un processo equo sia il modo migliore che ha per contribuire all’esaurimento di un insensato circolo vizioso di violenze. Malvisto dagli amici degli inglesi per le sue scelte professionali e squadrato in cagnesco anche dalla curva opposta perché non ci si può fidare di chi non vuole bene al Papa, Agnew torna a frequentare il pub perché cos’altro vuoi fare in una situazione del genere, se non stordirti di Jameson liscio?

Cushla, che rifiuta la goffa corte di un collega coetaneo cattolico piazzandolo con sicumera nella lista degli amici platonici, si schianta a prima vista sulle scogliere sale e pepe del ciuffo perfettamente frastagliato di Michael, dal momento in cui lui la aiuta con grazia, carisma e umorismo a liberarsi di un soldatino inglese, sbronzo e molesto. Michael, che è un seduttore di una certa classe, si incapriccia del giovane talento della squadra avversaria e la fomenta titillando il comune orgoglio per la cultura irlandese, oltre a curarla amorevolmente dopo una lieve ustione da teglia di moussaka. State sudando anche voi per questo amore impossibile, brasato a fuoco lentissimo verso una deflagrazione letteralmente a luci rosse? (Il loro primo bacio, in macchina, è immerso in una fotografia dalle tonalità che rimandano ai capelli di Cushla).

La domanda retorica che si pone Trespassess è: può una passione impossibile del genere, tra due persone che il mondo ha messo sulle sponde opposte di un fiume senza ponte, avere uno sbocco? La risposta è ovvia, chiara fin dal primo sguardo che i due protagonisti si scambiano e risolta già dall’episodio pilota, che si conclude con il romantico amplesso che Cushla e Michael si meritano. Quel che resta da capire sono i mezzucci infami che la realtà dei fatti e la tradizione del melodramma metteranno fra le ruote dei due piccioncini. I precedenti sono lì in bella vista – un cranio ricucito alla bell’e meglio, le gambe fratturate, i polsi squarciati e una famiglia vittima costante di bullismo – anche se nessuna grande passione amorosa si è mai fatta intimidire da brutture così prosaiche.

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