Quando Stephen King, sotto lo pseudonimo Richard Bachman, nei primi anni ’70 scrisse The Running Man, su cui si basa il film in uscita al cinema il 13 novembre con Eagle Pictures, delineò un futuro dominato dalla povertà, dalla sorveglianza e da un intrattenimento televisivo estremo.
Oggi, nel 2025, Edgar Wright propone una nuova trasposizione cinematografica del romanzo, dichiaratamente non collegata al film del 1987 con Arnold Schwarzenegger. A differenza di quella versione, questa si rifà direttamente al materiale originale. Il risultato è un’opera ambientata in un’America totalitaria dove il controllo si esercita anche attraverso lo spettacolo e dove la sopravvivenza diventa competizione.

Un gioco a perdere
In una società profondamente segnata dal collasso economico e governata da un regime autoritario, Ben Richards è un uomo disoccupato, con una figlia malata e poche alternative. In un contesto che offre poche vie d’uscita, decide di partecipare a The Running Man (da qui il titolo del film), un game show estremo in cui il concorrente – il “runner” – deve sfuggire per 30 giorni a un gruppo di cacciatori professionisti. Il programma viene trasmesso in tutto il mondo e l’obiettivo è semplice: sopravvivere.
Lungo la fuga, Richards si confronta con la struttura stessa del gioco, con la spettacolarizzazione della violenza e con un pubblico passivo. La sua esposizione mediatica lo pone sotto gli occhi di milioni di persone, trasformando la sua storia individuale in un evento collettivo, con implicazioni che vanno oltre la dimensione familiare.
Un eroe senza mantello
Il personaggio di Ben Richards, interpretato nel film The Running Man da Glen Powell, è stato pensato come un uomo comune, privo di tratti da supereroe. Ex operaio edile, vive ai margini della società e accetta di entrare nel gioco per ragioni personali, legate alla salute della figlia e alla mancanza di mezzi economici.
La caratterizzazione del protagonista mette l’accento su un individuo spinto dalla necessità. Non è addestrato alla violenza, ma abituato al lavoro duro e alla sopravvivenza. Nel corso del gioco, Richards attraversa una trasformazione: da partecipante passivo a figura osservata, strumentalizzata e, infine, potenzialmente capace di rompere l’equilibrio narrativo imposto dal programma.

Reality Kills
Il game show al centro del film The Running Man è concepito come uno strumento di controllo sociale. Attraverso la trasmissione continua della caccia al “runner”, il governo mantiene la popolazione distratta, intrattenuta e, in parte, rassegnata. L’intrattenimento, in questo contesto, non è evasione ma normalizzazione della violenza.
Il rapporto tra spettacolo e manipolazione è uno dei nodi centrali dell’opera originale. Wright e il co-sceneggiatore Michael Bacall sembrano aver scelto di conservare questa linea tematica, posizionando il programma televisivo come una piattaforma attraverso cui si esercita consenso e si diffonde rassegnazione collettiva.
Una nazione in gabbia
Nel mondo del film The Running Man, la povertà è sistemica e funzionale. Il gioco è alimentato proprio dalla disperazione dei partecipanti, selezionati tra i più vulnerabili della popolazione. In cambio della possibilità di un premio, si accetta la morte in diretta.
Richards entra nel sistema come uno dei tanti, ma la sua permanenza prolungata nel gioco mette in discussione il rapporto tra oppressore e oppresso. Il suo percorso evidenzia la condizione condivisa da una larga parte della popolazione: la mancanza di alternative. In questo modo, la sua esperienza personale acquisisce un valore simbolico più ampio.

King nel mirino
Stephen King scrisse The Running Man in una settimana, prima ancora di pubblicare il suo romanzo d’esordio. All’epoca viveva con la famiglia in condizioni economiche precarie. La figura di Ben Richards potrebbe riflettere alcune paure personali dell’autore: la difficoltà di garantire un futuro, la frustrazione di fronte a un sistema chiuso.
A distanza di decenni, molti dei temi affrontati nel libro – l’influenza della televisione, la disuguaglianza economica, la spettacolarizzazione del dolore – restano rilevanti. Il testo originale suggerisce uno sguardo critico verso la deriva mediatica della società e verso l’assuefazione al consumo passivo di contenuti violenti.
Corri, guarda, rifletti
Il film The Running Man propone una narrazione ambientata in un futuro prossimo ma riconoscibile. Il lungometraggio di Edgar Wright, tornando alla versione bachmaniana del testo, mette in scena una corsa contro il tempo, contro la macchina dell’informazione e contro l’indifferenza collettiva.
Senza dichiarare l’anno esatto in cui si svolge, il film posiziona la sua distopia a pochi passi dal presente, in un contesto tecnologico e culturale che rispecchia tendenze già visibili. Il risultato è un racconto che, al di là della tensione narrativa, affronta dinamiche di potere, marginalità e controllo sociale.
In un panorama dove realtà e spettacolo si confondono, The Running Man utilizza la struttura del gioco per porre domande sulla libertà, sull’identità e sulla possibilità di resistenza.
Disclaimer
Questo testo è stato redatto sulla base di informazioni e note di regia condivise dalla produzione, supportate dalla visione di interviste e materiali promozionali, ma senza avere visto il film. In alcun modo, quindi, questa presentazione di The Running Man può essere intesa come una recensione o una critica cinematografica.
Filmografia
The Running Man
Fantascienza - Regno Unito, USA 2025 - durata 133’
Titolo originale: The Running Man
Regia: Edgar Wright
Con Emilia Jones, Glen Powell, Colman Domingo, Josh Brolin, Lee Pace, Katy O'Brian
Al cinema: Uscita in Italia il 13/11/2025
L'implacabile
Fantascienza - Usa 1987 - durata 102’
Titolo originale: The Running Man
Regia: Paul Michael Glaser
Con Arnold Schwarzenegger, Maria Conchita Alonso, Yaphet Kotto, Jim Brown, Jesse Ventura, Erland van Lidth
in streaming: su Amazon Video Rakuten TV Netflix Apple TV



Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta