Con il film Il prigioniero, in anteprima mondiale al Toronto Film Festival, Alejandro Amenábar porta sullo schermo un episodio poco noto ma decisivo della vita di Miguel de Cervantes: i cinque anni trascorsi in cattività ad Algeri. Un tempo sospeso, in cui la violenza e l’incertezza convivono con la nascita di qualcosa di più grande: la vocazione narrativa che darà vita al romanzo moderno.

Alessandro Borghi
Il prigioniero (2025) Alessandro Borghi

La libertà attraverso la finzione

Nel film Il prigioniero, siamo ad Algeri nel 1575. Miguel de Cervantes ha ventotto anni ed è un soldato ferito, catturato dai corsari ottomani. In attesa che la Spagna paghi il riscatto, vive recluso in un ambiente ostile, governato dal Bey Hasan, figura tanto temuta quanto sfuggente. Ma nella cella in cui dovrebbe spegnersi, Cervantes inizia a raccontare storie. Non solo per sé, ma per chiunque possa ascoltarlo: prigionieri, carcerieri, nemici. Il racconto diventa l’unico modo per evadere mentalmente, per resistere, per inventare un futuro possibile.


Col tempo, le sue narrazioni catturano anche l’attenzione di Hasan, creando tra i due un legame ambiguo, fatto di curiosità reciproca, tensione e silenziose intese. Quando il pericolo aumenta e la città entra in fermento, Cervantes escogita un piano di fuga tanto audace quanto fragile. Ma il vero centro della storia non è l’evasione fisica: è la scoperta della scrittura come forma di sopravvivenza.

Uomini e conflitti

Miguel de Cervantes (Julio Peña) è il fulcro emotivo e narrativo del film Il prigioniero. Non è ancora l’autore che cambierà la storia della letteratura, ma è già un uomo spinto dal bisogno di dare senso al caos. In cella non si limita a sopravvivere: trasforma la prigionia in un laboratorio di invenzione. Il suo sguardo osserva tutto, assorbe tutto, metabolizza il dolore in finzione.


Hasan Pasha (Alessandro Borghi), governatore di Algeri, non è un semplice antagonista. È l’altra metà dello specchio: uomo colto, carismatico, in conflitto tra il potere e la fascinazione per l’immaginazione. La relazione con Cervantes sfugge ai codici del potere e diventa un gioco intellettuale, quasi una partita a scacchi.


Attorno a loro si muove una galleria di comprimari, tra cui il compagno di prigionia Antonio de Sosa (Miguel Rellán), testimone lucido e ironico; Blanco de Paz (Fernando Tejero), ambiguo e scaltro; e Zoraida (Luna Berroa), giovane donna musulmana, figura liminale tra due mondi, tra due fedi. Sono personaggi complessi, né buoni né cattivi, ritratti nella loro contraddizione, come nella migliore tradizione cervantina.

Alessandro Borghi
Il prigioniero (2025) Alessandro Borghi

Prigione, finzione, identità

Il film Il prigioniero non è solo un racconto storico. È una riflessione sulla forza della narrazione. Amenábar parte da una domanda chiave: perché raccontiamo storie? La risposta, qui, è concreta e urgente. Raccontare, per Cervantes, è un gesto di resistenza. Le storie che inventa non sono evasione fine a sé stessa: sono uno spazio mentale in cui la libertà può ancora esistere.


La prigione diventa metafora: delle gabbie fisiche, politiche, ma anche interiori. La scrittura è il mezzo per smascherare le finzioni del potere e costruire nuove verità. In questo senso, il film dialoga direttamente con Don Chisciotte: anche lì, il protagonista rifiuta il mondo così com’è, per inseguirne uno immaginato. Ma se Don Chisciotte è un cavaliere che rincorre l’impossibile, Il prigioniero mostra l’uomo che, nella sofferenza, capisce che la realtà può essere piegata, almeno nel racconto.


Altro tema cruciale è il conflitto tra Oriente e Occidente, mai trattato in modo manicheo. Algeri non è solo il luogo della barbarie, ma anche un mondo complesso, multiforme, affascinante. Le relazioni tra cristiani e musulmani sono ambigue, cariche di tensioni, ma anche di scambi sotterranei, linguistici e culturali.

La costruzione del mito

Il film Il prigioniero si colloca tra la biografia e l’invenzione. Amenábar non pretende di dire “com’è andata davvero”, ma di mostrare come potrebbe essere nata l’urgenza narrativa di Cervantes. Il film si muove tra fonti storiche e suggestioni letterarie, riempiendo i vuoti della Storia con la forza del cinema.

L’idea centrale, che Cervantes abbia concepito Don Chisciotte durante la prigionia, non è confermata dagli storici, ma è plausibile. Ed è potentissima. Come se l’opera letteraria più influente di sempre fosse nata non in uno studio tranquillo, ma in una cella sporca, sotto minaccia di morte.


Il prigioniero
non è un film su Don Chisciotte. È un film sul momento prima. Sull’attimo in cui un uomo, privato di tutto, scopre che può ancora inventare. Ed è proprio lì, tra miseria e immaginazione, che nasce il romanzo moderno. L’opera non cerca l’agiografia né il sentimentalismo, ma una verità più profonda: quella dell’uomo che racconta per salvarsi la vita. E che, senza saperlo, sta salvando anche la nostra.

Autore

Redazione

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Filmografia

locandina Il prigioniero

Il prigioniero

Avventura - Spagna, Italia 2025 - durata 134’

Titolo originale: El cautivo

Regia: Alejandro Amenábar

Con Alessandro Borghi, Julio Peña, Fernando Tejero, Julien Paschal, Juanma Muniagurria