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Insieme a Parigi

Regia di Richard Quine vedi scheda film

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La recensione su Insieme a Parigi

di Antisistema
6 stelle

A metà anni 60' secondo la critica, il cinema di Hollywood attraversava una crisi di idee, forma e contenuti che nel giro di qualche anno porterà alla fine del cinema classico per approdare alla New Hollywood; pellicole più aderenti alla realtà realizzate da registi che investivano di tasca propria pur di avere il controllo del film. Richard Quine a quanto mi risulta, non è mai stato più che un onesto mestierante portato a realizzare discrete commedie; e vedendo questo film (che egli produsse; quindi aveva libertà creativa), si capisce il perché.

 

La storia è ambientata a Parigi durante la settimana dei festeggiamenti della presa alla Bastiglia. Richard Benson (un trasandato William Holden), sceneggiatore di successo, ha sprecato tutto il suo tempo a Parigi gozzovigliando e poltrendo; così si ritrova improvvisamente senza una sceneggiatura pronta e ha solo due giorni per completarla. In questa disperata impresa, verrà aiutato dalla stenografa Gabrielle (Audrey Hepburn sempre splendente in abiti Givenchy… non importa se tale abbigliamento è palesemente oltre il tenore di vita del suo personaggio); con la quale, mano a mano che scriverà il film si ritroverà non solo a vivere il film che sta scrivendo, ma a poco a poco sboccera’ l'amore tra i due.

 

Ingredienti diversi, ma alla fine abbiamo la classica commedia romantica Hollywoodiana, eppure i presupposti per fare almeno un ottimo film c'erano tutti; attori di alto livello (e eccellenti comprimari come Tony Curtis), una sceneggiatura interessante quanto originale (Axelrod scrisse anche Quando la Moglie è in Vacanza e Colazione da Tiffany) e l’onesto Quine che tra l'altro produceva insieme ad Axelrod il film. Alla fine del film però invece di essere felice, non puoi fare a meno di essere incazzato perché non è possibile sprecare gran parte di tutto questo, ed invece ci sono riusciti; ma indaghiamo a fondo perché le colpe sono un po' di tutti. Con la sceneggiatura di Insieme a Parigi; Axelrod prende fortemente in giro i meccanismi produttivi della Hollywood di quel periodo, infarcendo il tutto con una marea di riferimenti e citazioni ai film dei nostri due attori protagonisti (con la Hepburn và anche oltre, inserendo una citazione a My Fair Lady… che l’attrice interpreterà 2 anni dopo; Axelrod come Nostradamus) e al cinema in generale. L'intento è quello di fare una forte satira sui meccanismi industriali di Hollywood e al contempo prendere fortemente in giro le avanguardie cinematografiche europee; infatti Gabrielle dirà che i registi con cui aveva precedentemente lavorato, basavano il loro cinema sul non mostrare niente o sul non far succedere niente… pensieri che farebbero rabbrividire ogni cinefilo snob, ma che alla fine tutto sommato ho apprezzato, poiché ci offre un punto di vista interessante sull’argomento film d'intrattenimento industriali vs film d'arte europei frutto della visione del solo regista. Se un tempo ero anche io uno snobbone del cinema americano (è sempre figo andare contro il mainstream; è tutt'ora odio gli oscar… ma a dire il vero detesto anche i festival), ora il mio atteggiamento è un po' cambiato e riesco a vedere tranquillamente sia l'uno che l'altra tipologia di film, anche perché ciò che conta alla fine è il film in sé, non gli intenti dietro la sua nascita. Il problema della sceneggiatura di Axelrod, è che pur essendo interessante, finisce con l'essere vittima di troppe idee, intuizioni, film nel film, sfondamento della quarta parete, transizioni improvvise, colpi di scena (volutamente privi di senso e sopra le righe) e un accumulo di situazioni che seppur divertenti e gradite, a lungo andare portano al nulla. In sostanza ci sono una marea di cose che succedono, ma alla fine si cade vittima dell'accusa che rivolgeva contro i film europei… cioè arriva a dire poco è niente, poiché la fantasia corre a briglie sciolte senza che venga incalanata in una direzione precisa.

 

C'è da dire che in tutto questo che l'opera non è sorretta pienamente dalla regia di Richard Quine che si dimostra un po' troppo priva di fantasia nella messa in scena e troppo scolastica, al posto di un necessario approccio più brillante e spigliato alla materia (Blake Edwards dove sta quando serve?). Il difetto di Quine è quello di tanti mestieranti, cioè inquadrare il cosa senza mai pensare al come. Una sequenza è emblematica in proposito; Benson con le sue dita simula l'obiettivo di una macchina da presa ed inquadra gli occhi ed il sorriso di Gabrielle, la sceneggiatura però sicuramente aveva concepito tale scena come extra-diegetica e quindi non si riferiva al sorriso e agli occhi di Gabrielle, ma a quelli di Audrey Hepburn, i cui punti di forza fisici erano gli splenditi occhi da cerbiatto e il suo magnifico sorriso; peccato che tutto questo sia percepibile da uno spettatore più attento come idea di sceneggiatura e non di regia.

 

Dare la colpa a Quine però è ingeneroso, poiché dovette lavorare nel caos ad un certo punto poiché la pellicola è stata attanagliata da molti problemi produttivi. In primis William Holden si presentava spesso ubriaco tanto che le riprese dovettero essere sospese e rimandate tante volte. A causa dell'assenza di Holden, molte sequenze vennero scritte ed aggiunte ex novo, come tutta la sequenza di Tony Curtis e i vari camei della Dietrich e di Mel Ferrer. Grandi colpe in tutto questo a mio avviso le ha anche Audrey Hepburn, che per la prima ed unica volta stranamente si comporta in modo poco professionale. Sul set nonostante le avance ed i tormenti che le dà Holden, si dimostra sempre preparata, il problema è che vedendo il caos produttivo ad un certo punto anche lei commette in questo film una delle tre cazzate da diva che farà in tutta la carriera. All'attrice non piaceva la fotografia di Renoir (nipote del regista omonimo) che reputava un incapace, e sfruttando per la prima volta il suo potere impose la sua cacciata e l'assunzione di Charles Lang. Quest'ultimo è un grande direttore della fotografia (dietro la scelta dell'attrice c'è sicuramente il fatto che egli fu il DOP di Sabrina di Wilder), solo che tale ruolo è di cruciale importanza nella riuscita di un film, e se il regista aveva scelto Renoir c'era un motivo. A costo anche di andare allo scontro frontale con l'attrice a mio avviso Quine doveva imporre a forza le sue scelte (poi cavolo sei il produttore del film! Ammoniscila pesantemente oppure fracassale la testa contro il muro per indurla a più miti comportamenti).

 

Insieme a Parigi nonostante tutto questo caos produttivo è un film gradevole, con alcune sequenze riuscite ed intuizioni interessanti e buone prove recitative. Ma la sensazione di occasione sprecata è forte al termine della visione. Forse troppo in anticipo sui tempi? In effetti con qualche aggiustamento sarebbe uscita fuori una commedia alla Woody Allen (ma gli anni 70' erano lontani), solo che purtroppo tale materiale non è finito in mano a persone migliori. L'opera ci fa' capire come anche una sceneggiatura originale in mano ad regista non eccellente, possa venire dequalificata e che quindi alla fin fine l'originalità è sopravvalutata, visto che conta come le cose vengano narrate. Il film girato nel 1962, uscirà solo nel 1964 poiché i distributori della Paramount non capirono la satira del film e non sapevano come venderlo, così alla sua uscita la critica che venne a sapere di tutto questo, inevitabilmente lo distrusse e fu un flop al botteghino. Alla fin fine è un film carino e sicuramente piacevole per chi ha visto un po' di film classici e pellicole dei due protagonisti vista la miriade di riferimenti ai loro film. Nonostante Donald Spoto nella sua biografia di Audrey Hepburn in preda a revisionismi Tarantiniani addirittura lo reputa migliore di altre commedie dell'attrice per lui sopravvalutare come Sabrina, Arianna o Colazione da Tiffany (roba non crederci), è da considerarsi un film minore in tutto e per tutto.

 

 

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