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Arrivederci amore, ciao

Regia di Michele Soavi vedi scheda film

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La recensione su Arrivederci amore, ciao

di ROTOTOM
8 stelle

Noir italiano, la riscoperta di un genere rimasto troppo a lungo sepolto sotto strati di muccinismo, vanzinismo, pieraccionismo che hanno ridotto il cinema di genere a un generalismo volgare e artisticamente corrotto. Il cinema di genere è essenzialmente un cinema di passione, coraggio e soprattutto ispirazione alla realtà. E di realtà a cui attingere nel substrato sociale italico dei faccendieri e dei segreti di stato c'è n'è da stancarsi. Ecco quindi dopo il felice "Romanzo Criminale" spuntare questo cupo "Arrivederci amore, ciao" di Soavi. Punto in comune, Michele Placido nel primo regista e nel secondo attore, calato negli elegantemente grotteschi panni di un poliziotto corrotto. Il nord est opulento e ipertroficamente arricchito è la terra di conquista di imprenditori, politici, criminali e ambigui personaggi che incarnano tutte e tre queste caratteristiche. Alla crescita del benessere economico infatti non ha corrisposto un'adeguata crescita culturale e intellettuale trasformando gli stimati cittadini in ambigui personaggi amorali e pronti a tutto pur di sopravanzare il vicino nella scala sociale, nell'apparire sempre più ricchi e potenti. La politica ha trovato un terreno fertilissimo in qeusto sottobosco di doppiezza e le collusioni e i favoritismi reciproci hanno contribuito a creare un piccolo miracolo economico e un miraggio di benessere sociale. All'interno di qeusta operosa società trovarono rifugio ex militanti anarchici fuggiti in sud america e riaccettati in patria con la promessa della riabilitazione. Il film inizia così, con gli articoli della legge sulla riabilitazione e Alessio Boni presta il suo faccino pulito ad uno di questi figliol prodighi, criminali a tutti gli effetti liberati di una ideologia alla quale forse non avevano mai creduto e finalmente liberi di esercitare tutta la violenza e le prevaricazioni necessarie per la scalata sociale scevra da qualsiasi credo politico. Il nostro nord est è ben dipinto da Michele Soavi, allievo di Dario Argento, viene dall'horror e si vede. La prima parte del film è asciutta e compatta, su tutto aleggia una patina di sulfurea malvagità e a secche scene di violenza fanno da contrasto momenti onirici, quasi incubi. La messa in scena è a tratti espressionista, con i colori che si fondono e strisciano sui corpi e sui visi degli attori donando loro una seconda pelle, una seconda anima visto che la doppiezza è la peculiarità di tutti i personaggi. La provincia industriale è fotografata con spietato squallore mentre malsano è il locale di lap dance in cui Giorgio comincia a ricostruire i tasselli della propria vita, decorato con immagini psichedeliche in cui si muovono corpi seminudi di ballerine, ricorda tanto un girone infernale in contrasto con il giusto grigio cemento dei parcheggi e dei capannoni all'esterno. Il protagonista si muove in qeusto contesto, in attesa della riabilitazione di legge che ne cancellerà tutti i reati, muovendosi tra lecito e illecito, dopo aver tradito tutti gli ex compagni di lotta grazie ad un accordo con un marcio funzionario della Digos. Elegante e corrotto, Anedda il poliziotto interpretato da Placido, forse un po' sopra le righe ma tutto sommato credibile. La scalata sociale di Giorgio prosegue di crimine in crimine, di omicidio in omicidio eliminando tutti gli ostacoli che si frappongono tra lui e l'impunità, fino alla spietata esecuzione della giovane moglie sposata per dare una parvenza di normalità alla propria vita, sotto il consiglio di un senatore corrotto pure lui che lo protegge e lo guida nella retta via intascando mazzette. Amoralità, questa è la parola chiave di un film crudele e ambiguo, che gioca sulla linea di confine tra il desiderio di una vita normale del protagonista e le pulsioni distruttive che lo dominano. Non c'è scampo per nessuno, tutti hanno una doppia veste, un alter ego che vive sotto la sacralità dell'immagine sociale. Ambigua è l'ottima Isabella Ferrari che si concede al piccolo gangster di provincia per un debito di droga del marito. Salvare la faccia, l'attività commerciale, il benessere questo conta, null'altro, corpi e basta sballottati dal dover apparire ormai insensibili al dolore abituati a soffrire quotidianamente, analgesizzati a qualsiasi violenza pur di non perdere il proprio ruolo nella società. Marcio fino al midollo il personaggio di Placido, poliziotto che scatena la propria anima violenta protetto da quelle leggi che dovrebb far rispettare. La parte centrale del film si slega un po', perso nel cercare una spiegazione logica a tutto, a ritrovare i troppi bandoli di diverse matasse narrative, Soavi perde quella visione disturbata e mefitica in favore di una messa in scena più convenzionale e scontata gravata da una recitazione non sempre impeccabile soprattuto della Nedelea che interpreta Roberta, la moglie di Giorgio/Alessio Boni novello sposo che quasi quasi arriva a crederci alla possibilità di una vita semplice, quasi si trova a proprio agio nelle vesti del buon padre di famiglia, salvo ripiombare nel proprio io distruttivo quando una canzone "Arrivederci amore, ciao" non gli fa ricordare chi è veramente, la sua militanza sud americana, l'omicidio a tradimento dell'amico che era fuggito con lui. Un colpo alle spalle per liberarsi di tutto e di tutti. Una soggettiva di un alligatore morto come una fine annunciata, collegamento ideale del crudele e disturbante omicidio della propria moglie, prologo di un bellissimo finale. Nel film piove quasi sempre e sempre Giorgio è sotto l'acqua battente senza protezione, si muove tra parvenza di normalità e crimine senza copertura muovendosi sul filo del rasoio in attesa di qeul certificato di riabilitazione che lo promuoverebbe a cittadino modello. Al funerale della moglie piove e lui, finalmente ha il certificato in tasca, l'uico senza obrello si bagna sotto gli occhi sospettosi dei presenti. Dall'alto a funerale terminato finalmente apre il suo di ombrello, grigio come gli altri che si allontanano e confondendosi tra loro, tra i giusti cittadini ora non più riconoscibile. Quindi buon film, coraggioso nell'impudico affondare la lama nel marcio conosciuto, nell'andare fino in fondo senza la tentazione del finale consolatorio a scopo commerciale e qeusta se confermata sarebbe una tendenza da rispettare per rinvigorire quel prodotto di genere che aspetta solo di essere definitivamente dissepolto e riproposto in tutta la sua vitale importanza artistica.

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