World building”, cioè “costruzione del mondo”: ha un che di epico, di “cosmogonico”, ma è un termine sempre più masticato e diffuso, soprattutto nei territori del cinema blockbuster e della serialità, i cui confini – soprattutto in questo ambito – si confondono ormai sempre più spesso. Se ai “semplici” film si sostituiscono universi cinematografici, diventa imperativo che questi universi qualcuno si preoccupi appunto di costruirli. E se ogni film o serie tv – che appartengano a un franchise oppure no – costruiscono il proprio mondo sullo schermo, il processo diventa cristallino, insieme più evidente e più delicato, nei campi del fantasy e della fantascienza, quando parte fondamentale dell’esperienza di fruizione diventa poter camminare per un certo periodo di tempo in un universo alieno, quando sia la trama sia quello che quella trama dice sono intrinsecamente legati all’ambiente e alle sue regole.

LOCANDINA
I figli degli uomini (2006) LOCANDINA

Un sacco di volte ci si affida a un prologo, o – spessissimo nella sci-fi – a una didascalia, più o meno dettagliata, che riassume gli eventi che hanno portato al futuro che stiamo per esplorare, o le regole del mondo in cui stiamo per muoverci. Star Wars ne ha fatto un elemento iconico, e costitutivo del proprio mito, con gli opening crawl, i rulli che scorrono sullo schermo stellato verso un punto di fuga lontanissimo, a loro volta ispirati alle introduzioni dei serial di Flash Gordon (in realtà, in Star Wars la didascalia iniziale è doppia, rivelando da subito la duplice radice fantasy e fantascientifica della saga: prima dei crawl che dettagliano battaglie spaziali e questioni geopolitiche, c’è sempre il fiabesco incipit «Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...»). Film storico-epici, biografie e distopie condividono qualche volta, invece, un altro espediente, quello del news reel, dei frammenti di cine o telegiornale, ancora una volta utilizzati per riassumere brevemente ed efficacemente eventi fondanti e/o apparecchiare il contesto narrativo.

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I figli degli uomini

In I figli degli uomini, Alfonso Cuarón fa tutto insieme, e pure di più. C’è un news reel, ma è diegetico: sul nero dei primissimi titoli di testa sentiamo un notiziario – televisivo? Radiofonico? Non lo sappiamo ancora – che parla d’immigrazione, della decisione della Gran Bretagna di mantenere chiusi i propri confini, di deportazione di migranti illegali. Potrebbe ancora essere un Tg qualsiasi, il sottofondo “normale” di uno dei nostri giorni degli ultimi decenni. Ma la notizia successiva, quella che i giornalisti definiscono la più importante della giornata, non lo è: si parla della morte di un certo Diego Ricardo, «la più giovane persona del pianeta». E a questo punto l’inquadratura si apre su un variegato gruppo di volti sconvolti, una piccola folla di gente che colma lo spazio del quadro e di un caffè. Hanno tutti lo sguardo fisso, nella stessa direzione, in alto a destra: stanno guardando il telegiornale, attoniti, mentre una voce racconta che “baby Diego” è stato accoltellato a Buenos Aires, fuori da un bar, dopo essersi rifiutato di firmare un autografo.

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I figli degli uomini

È in questo momento che compare il nostro protagonista, anche se inizialmente rischiamo di non notarlo, perché la nostra attenzione, insieme a quella di tutti gli altri, è concentrata verso quel fuoricampo, dove stanno il televisore e il mondo che il televisore descrive, un mondo che non sembra troppo diverso dal nostro – a giudicare dal locale che vediamo, assolutamente comune, dai volti e dagli abiti dei suoi avventori – ma che certamente lo è, visto che piange collettivamente l’assassinio della più giovane persona del mondo. Intanto, però, un uomo col volto di Clive Owen rompe l’atterrito “tableau vivant”, spezza l’immobilismo sbigottito, avanzando dal fondo, e da sinistra fino al centro dell’inquadratura, per fare una cosa normale, quanto meno in un caffè: ordinare un caffè.

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I figli degli uomini

Guarda anche lui, ma più distrattamente, la tv, che infatti subito dopo viene inquadrata dalla macchina da presa, e ascolta insieme a noi altri dettagli che edificano, uno dopo l’altro, il mondo del film: il defunto Diego era nato nel 2009 (I figli degli uomini esce nel 2006, quindi l’ambientazione è indiscutibilmente un futuro prossimo), il suo omicida è stato pestato a morte da una folla infuriata (è un futuro prossimo abbastanza violento), “baby Diego” era un ragazzo diciottenne – adesso lo vediamo, in tv, in immagini di repertorio, con in alto la scritta in sovraimpressione “BABY DIEGO 2009-2027”, ed è così che apprendiamo la data precisa in cui il film è ambientato, e la sua fondamentale premessa: è il 2027 e sono passati 18 anni dall’ultima volta che, sulla Terra, è nato un bambino. Sul televisore, la scritta “2009-2027” si allarga, così che non possa sfuggirci il messaggio.

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I figli degli uomini

La camera torna su Clive Owen che, ancora, a differenza degli altri, si muove; questa volta, anche la macchina da presa – dunque noi – si muove con lui, nel primo di uno dei tanti long take e pianisequenza per cui I figli degli uomini è divenuto immediatamente famoso. Questo è uno dei più brevi e anche meno appariscenti, ma come in ogni buon incipit Cuarón e il direttore della fotografia Emmanuel Lubezski sanno impostare subito il tono e il ritmo visivi, il linguaggio del film, per insegnarci dal primo minuto come dovremo guardarlo, per dirci di esplorare con attenzione il mondo che stanno creando per noi, di frugarlo attentamente, con occhi e orecchie spalancati. Di non sottovalutare il pericolo, che potrebbe arrivare da qualunque direzione.

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I figli degli uomini

Clive Owen esce dal bar, si fa di nuovo largo tra la piccola folla, fendendola in direzione opposta, verso la porta, e verso un altro televisore che sta sopra l’ingresso, anche se non lo guarda nessuno. La voce del notiziario ribadisce l’età precisa di “baby Diego”: «18 anni, 4 mesi, 20 giorni, 16 ore», a ricordare come una sorta di “countdown inverso” all’estinzione dell’umanità.

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I figli degli uomini

Clive Owen esce dal caffè, mentre per strada passa la sagoma inconfondibile di un autobus rosso a due piani, ma per sicurezza interviene un’unica laconica didascalia, che all’anno d’ambientazione aggiunge il giorno e il luogo: «Londra, 16 novembre 2027». Ed è indiscutibilmente Londra, quella che la mdp inquadra, con i suoi palazzi eleganti e i suoi viali affollati, giusto un subliminale tocco orwelliano – un pannello luminoso sullo sfondo chiede di «segnalare attività sospette» – e il mescolarsi di elementi occidentali e orientali (i risciò) con giganteschi maxi schermi in grado di evocare all’istante un paesaggio futuristico alla Blade Runner.

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I figli degli uomini

L’operatore segue la direzione delle auto e dei risciò, coglie gli inconfondibili “bobby” inglesi nella loro divisa, altri autobus a due piani rossi, una cabina telefonica, quella che sembra la cattedrale di Saint Paul in lontananza, cittadini che s’affrettano in una “normale” giornata nella City. Ma coglie anche le strade invase dalla spazzatura, l’aria inquinata e opaca, mentre la fotografia livida di Lubezki spoglia la “cartolina” londinese di ogni attrattiva turistica.

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I figli degli uomini

La camera raggiunge Owen (il suo personaggio si chiama Theo, ma ancora non lo sappiamo), che nel frattempo si è fermato e ha appoggiato la sua tazza di caffè su parallelepipedo di metallo verde, e sta estraendo dalla tasca del cappotto una bottiglia con cui “correggere” generosamente la bevanda. Gli giriamo attorno, da una certa distanza, così che il quadro sia sempre pieno di questa Londra del 2027, incasinata, cupa ma comunque familiare. Ci era già chiaro dalla prima volta che è apparso: rispetto al “resto del mondo”, il nostro (anti)eroe è decisamente “diverso”, isolato, e meno sentimentale, più cinico, più disilluso, o forse solo più “realista”. Ora che versa il liquore nel caffè, possiamo ipotizzare anche il suo desiderio di stordimento, un trauma lancinante sepolto sotto la superficie dura, la sua trasformazione definitiva in protagonista da noir.

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I figli degli uomini

E poi, d’improvviso, tutto esplode. Per la precisione, esplode il caffè, lo stesso caffè in cui eravamo poco fa. L’effetto è inaspettato e sconvolgente, come quello di una bomba vera. Clive Owen fa un salto all’indietro, il fumo riempie la strada e lo schermo, le sirene assordano ogni spazio sonoro, la camera abbandona il passo fluido e “corre”, agitandosi, verso la scena del delitto, intravede uscire dal bar una donna che cammina sconvolta, tenendo in una mano un braccio tranciato, probabilmente il proprio.

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I figli degli uomini

Improvvisamente lo schermo è di nuovo nero, con solo il titolo del film, ormai stratificato di significati: Children of Men, “figli degli uomini”. Il world building è completato, in meno di due minuti (1 minuto e 49 secondi, per esattezza): di questo mondo sappiamo tutto quello che dobbiamo sapere, anche quello che non sappiamo ancora di dover sapere (la questione cruciale dell’immigrazione, che abbiamo sentito come primissima cosa nel film, quando ancora lo schermo era nero). Non solo: conosciamo la premessa distopica – un futuro prossimo dove non nascono più bambini da 18 anni – e abbiamo già un’idea piuttosto chiara di che tipo sia il nostro protagonista, pur non sapendo come si chiama. E forse, andando ancora un po’ oltre: questo mondo l’abbiamo già un po’ abitato, calpestato, esperito. In una manciata di secondi ci ha depresso, ci ha angosciato e ci ha terrorizzato. Ci ha travolto. Confondendo – e il pianosequenza serve anche a questo – i confini del vero e dello schermo, come ogni distopia che ci racconta il mondo di oggi costruendo quello di domani.

Autore

Alice Cucchetti

Nasce a Busto Arsizio, studia a Bologna, vive a Milano. I suoi genitori le hanno sempre detto di non guardare i telefilm, inevitabilmente indirizzandola verso un consumo appassionato e compulsivo di serialità televisiva. Tra gli autori storici di Serialmente.com e co-fondatrice di Mediacritica.it, ha curato la rubrica Cinetv di "Nocturno" e ha collaborato, tra gli altri, con Best Movie, Best Serial, Abbiamoleprove, Grazia.it, Osservatorio Tv. Ama le canzoni con i finali tristi, gli androidi paranoici, i paradossi temporali, i gatti e il cioccolato. Oltre che sulle pagine di Film Tv, dove cura le rubriche Serial Minds e Telepass, chiacchiera ai microfoni di "Pilota - Un podcast sui telefilm", il programma sulle serie tv di Querty.it.

Il film

locandina I figli degli uomini

I figli degli uomini

Fantascienza - Gran Bretagna/USA 2006 - durata 114’

Titolo originale: Children of Men

Regia: Alfonso Cuarón

Con Clive Owen, Julianne Moore, Michael Caine, Chiwetel Ejiofor, Charlie Hunnam

Al cinema: Uscita in Italia il 17/11/2006

in streaming: su Apple TV Amazon Video Rakuten TV Microsoft Store