Schermo nero. Un cartello mette in guardia lo spettatore: «Anche se il film che state per vedere è un’invenzione, dovrebbe essere proiettato al massimo del volume». È un invito, un “Istruzioni per l’uso” del regista al proprio pubblico, ma anche un modo per disvelare fin dalla soglia del paratesto il volto di David Bowie/Ziggy Stardust dietro la doppia maschera di Brian Slade/Maxwell Demon («to be played at maximum volume» recitava nel 1972 la nota in calce a The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, l’album della metamorfosi aliena e glam di Bowie). Soprattutto, è una dichiarazione di poetica: quella di Velvet Goldmine è una bugia, i fatti raccontati non sono sussistiti, è tutto falso e dunque tutto vero, e proprio per questo è d’uopo che vi si creda fino in fondo. Al massimo del volume.

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Velvet Goldmine

Un cartello, una manciata di parole. Tanto basta al film di Todd Haynes per lasciarsi alle spalle le lande imbalsamate del biopic musicale (la pigra tentazione della mimesi, la comfort zone della Storia: tornerà a schivarle entrambe dieci anni dopo, con il prisma imprendibile di Io non sono qui) e atterrare – letteralmente - su un altro pianeta.

Mentre un movimento di macchina dall’alto verso il basso esplora la volta stellata, da un impasto di dialoghi distorto e disturbato si leva affabulatoria la voce di una donna: «Le storie sono quel che resta degli imperi, come le antiche rovine. Tutto ciò che si è dimenticato rimane negli oscuri sogni del passato, e minaccia costantemente di riemergere». Il movimento accelera, la discesa si fa vorticosa. Dalla coltre delle nuvole schizza fuori un disco volante, che illumina il cielo con la sua apparizione e poi scompare, diretto chissà dove.

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Velvet Goldmine

Cosa ci fa un UFO in un film sul glam rock, sul suo Zeitgeist e le sue rivoluzioni? E chi nasconde al suo interno? Non c’è tempo per interrogarsi: la discesa è completata, siamo pronti ad atterrare. Non a Londra né a New York, ma nella Dublino del 1854, davanti alla casa natale di Oscar Wilde: è lui il fagotto raccolto sulle scale da un’incredula domestica - è lui l’uomo che cadde sulla Terra, la matrice che insufflerà la vita in tutti i successivi corpi-chimera del film - e quella a cui abbiamo assistito è l’origin story, sfacciatamente camp, del primo «idolo pop».

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Velvet Goldmine

Stacco e altro salto temporale. «Cento anni dopo» un bambino viene malmenato dai compagni di scuola durante la ricreazione: dall’alto, come se fossimo ancora a bordo del disco volante, guardiamo i corpi che crudelmente si intrecciano attorno allo sventurato. La camera indietreggia indifferente ma un attimo più tardi è accanto a lui, faccia a terra sul selciato. La sua mano in primo piano scava nel terreno e rinviene un amuleto color smeraldo: lo stesso che era appuntato alle fasce dell’alieno Oscar Wilde. Non si diceva poco fa che «tutto quel che si è dimenticato minaccia costantemente di riemergere?». Di più: tracima, si reincarna, viaggia come per metempsicosi da un’anima all’altra, attraverso i decenni e i secoli. Non è un caso, allora, che a raccogliere da ultimo il talismano sia il giornalista Arthur Stuart/Christian Bale, chiamato wellesianamente a indagare sulla scomparsa di Brian Slade e, insieme, a ritrovare nel passato le radici di un desiderio che diventando adulto ha respinto - o il fatto che l’UFO torni a comparire proprio davanti ai suoi occhi, dopo l’amplesso con la stella Curt Wild/Ewan McGregor.

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Velvet Goldmine

Dissolvenza, ed ecco il ragazzino di spalle che cammina immerso in un paesaggio-fondale incantato e irreale, dal gusto tremendamente naïf. Finalmente la voce off ce lo presenta; il suo nome, parlante come quelli di tutti gli altri personaggi-Frankenstein del film, è Jack Fairy: Jack come il giovane eroe archetipico della fiaba inglese, e Fairy come “fatina” ma anche – in slang – “omosessuale”. «L’infanzia, dicono sempre gli adulti, è il periodo più felice della vita. Ma per quanto poteva ricordare Jack Fairy era di tutt’altra opinione. Finché, un misterioso giorno, Jack scoprì che da altre parti esistevano persone esattamente come lui, prescelti come portatori di un grande dono, e un giorno questo grande schifo di mondo sarebbe stato ai loro piedi».

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Velvet Goldmine

Mentre la voce narrante ne anticipa il destino, lasciando presagire una gloria ancora di là da venire, Jack Fairy continua a camminare, non più su quel sentiero dalla valenza ostentatamente simbolica ma al centro di una stanza buia, rischiarata soltanto da qualche fascio di luce blu che gli balugina sul volto. A un certo punto si ferma, porta un dito alla bocca e con un gesto sensuale si stende del colore sulle labbra: l’innocenza è perduta, la metamorfosi - dal sangue al rossetto - compiuta. Adesso sì, sulle note dirompenti di Needle’s in the Camel Eye di Brian Eno, il film può cominciare.

Autore

Caterina Bogno

Caterina Bogno è nata a Varese, dove vive, e ha studiato a Milano, dove si è laureata in Lettere moderne con una tesi sulla cronaca nera di Dino Buzzati. Scrive di cinema, televisione e libri su Film Tv, per il quale cura la rubrica Leggo, e collabora con Gli Spietati.it. Musica (dal vivo), gatti (rossi) e viaggi (malamente organizzati) le altre sue passioni. 

Il film

locandina Velvet Goldmine

Velvet Goldmine

Drammatico - USA/Gran Bretagna 1998 - durata 123’

Titolo originale: Velvet Goldmine

Regia: Todd Haynes

Con Jonathan Rhys Meyers, Ewan McGregor, Christian Bale, Toni Collette

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