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Mestieri di cinema
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Lavori nel cinema, dice uno. Figata, dice l'altro. No, lavoro in un sito di cinema e tra le tante cose che si devono fare in un sito di cinema c'è quella di caricare i trailer. Ogni settimana. Per ogni trailer si deve nell'ordine: cercarlo, scaricarlo, rinominarlo, guardarlo, scegliere l'anteprima, fare lo screenshot, ricaricarlo sulla piattaforma interna di FilmTv.it. È un lavoro molto meccanico, ripetitivo, in cui l'unico guizzo creativo è relegato alla selezione dell'anteprima da visualizzare prima che il trailer inizi.

Lo so benissimo: si tratta di una scelta alla quale dedico molta cura e che non è assolutamente compensata dall'attenzione che le viene elargita. Ma è ovvio: il suo scopo è solo quello di fare da sfondo e di ospitare il simbolo play e lo scopo del simbolo play è quello essere cliccato velocemente perché inizi il trailer. Eppure. Se non mettessi neanche quel briciolo di "creatività" nella scelta di quell'immagine non sarebbe certo la pagina del trailer a farne spese, bensì io.

Non è che fare le anteprime dei trailer equivalga ad avere stretto un grande patto con la mia capacità di espressione creativa (fortuna che ogni due settimane mi tocca la newsletter!). Eppure sapete cosa? Sono anni che seguo questa roba dei trailer ed è il mio modo per restare in contatto con il cinema in sala e con l'attualità cinematografica. La (auto)glorificazione di questo piccolo e inutile mestiere, già di per sé sulla soglia dello sterile esercizio dialettico, è resa ancor più patetica (d'ora in avanti chiamerò le cose con il loro nome, promesso) dal fatto che delle svariate centinaia di trailer che carico ogni anno la maggior parte sono oneste opere di artigianato minimo, alcuni sono realmente osceni o realizzati con il pilota automatico, altri sono di una tristezza senza confini e i trailer sui quali lavoro che davvero meritano se ne stanno placidamente accomodati sulle dita di una sola mano. E certi anni anche sulle dita della mano di un falegname che si è distratto un attimo. Quando sono ben fatti, però, riescono ad essere veri e propri condensati dell'opera che devono promuovere.

Certamente realizzare un promo di un buon film aiuta. È chiaro: assemblare un trailer con delle sequenze girate da Martin Scorsese può essere abbastanza divertente ed è un buon punto di partenza per confezionare un oggetto interessante. È già un bell'aiutino. Eppure ho visto trailer scadenti e montati in fretta e furia e senza amore per la pellicola, anche con materiali di partenza eccezionali. Così come ho visto trailer validissimi e azzeccati che sono riusciti a tirar fuori l'anima, l'idea di base, l'essenza anche da film medi o complicati da promuovere. Non è decisamente il caso del trailer di Parasite - vincitore della palma d'oro a Cannes 2019 e in sala dalla prossima settimana - grazie al quale sono ritornato, dopo tanto tempo, a sentire il desiderio di scrivere di un trailer. Materiale di partenza eccezionale, tutto perfettamente studiato e calibrato: facce, espressioni, interni, luci, palette di colori, elementi di arredo, montaggio e, chiaramente, movimenti di macchina elegantissimi direttamente dalla mano, anzi, dal cervello di Bong Joon-ho.

Va detto, che fare un trailer di reale qualità non è facile. È una questione di misura sottilissima tra il mostrare e il non mostrare, tra il dire e il semplice alludere, mantenendo chiaro l'obiettivo di far accedere il maggior numero di persone possibile alla materia cinematografica, al genere e al registro della pellicola, e in più accennare alla storia senza svelarla, darle importanza senza enfatizzarla, rispettarla senza anticiparla, il tutto senza calcare troppo la mano su un registro spacciando il film per ciò che non è, perché è più facile o, peggio, perché è commercialmente più conveniente, a corto raggio. Come è a corto raggio la pratica di abusare delle scene clou. E quando il film è una commedia, la cosa succede spessissimo. L'imbroglio è in agguato, se inserisci le due/tre battute clou nel trailer e se la commedia non è, per dire, di un Woody Allen in stato di grazia, la fregatura è quasi certa.

Se il mestiere di caricare i trailer è espressione di una minima capacità creativa, quella di realizzare i trailer potrebbe essere, in un mondo ideale, una grande professione nella quale misurarsi. La mia esperienza sul campo invece è spesso deludente e i trailer ben fatti restano pochi. Quindi mi son detto: ohibò, visto che son pochi potrei anche recensire i trailer come se fossero mini opere. Lo so cosa state pensando: scansafatiche, state pensando. Ma non è quello che intendevo dicendo son pochi quindi posso farlo. Intendevo dire che, al netto del lavoro di selezione, secondo me ha senso parlare solo di quelli davvero belli, non pubblicare ogni trailer anche solo per dire "Ehi amici, leggetemi, questo è un trailer normale". O no?

Ecco, insomma, anche per questa settimana il testo per la newsletter è fatto.
Scansafatiche.

Questa avrebbe potuto essere tranquillamente la perfetta chiusura di questo testo e invece c'è ancora una cosa che voglio aggiungere. Proprio per "merito" del mio lavoro settimanale sui trailer mi sono reso conto che questa è la settimana di Halloween - ricorrenza che peraltro io detesto senza se e senza ma - che ormai da anni funge da "agente provocatore" per mettere in circolazione film a tema. È impossibile sfuggirvi. Quest'anno però la ricorrenza è più lieve da sopportare perché perlomeno è servita al canale televisivo Fox + variante HD per inserire in programmazione What We Do In The Shadows, una serie tv che è un piccolo e atipico gioiello frutto della fantasia inconsueta di Jemaine Clement e Taika Waititi, già dietro le quinte del film da cui questa serie prende ispirazione (Vita da vampiro del 2014) e di almeno un altro oggetto seriale poco conosciuto che ho molto amato: Flight of the Conchords.

La serie, alla sua prima stagione, è articolata su 8 episodi e i primi tre sono in programmazione su Fox, a rotazione, per tutta questa settimana. Ve la consiglio. Prendete lo stile mockumentary tipo quello di The Office e applicatelo a un gruppo di vampiri che vivono insieme in un appartamento nel nostro mondo moderno: pause imbarazzate, sguardi in camera, ironia irresistibile. Se questo registro narrativo è sufficiente per assicurare un notevole livello di divertimento è l'inserimento dei due personaggi "vampiro psichico" e "vampiro emotivo" che offre lo spunto vincente e che riesce anche a far riflettere. Se da un lato What We Do In The Shadows rivela le ombre normali del vampiro tradizionale, dall'altro rende evidente che nel fondo oscuro di persone apparentemente normali, che conducono probabilmente altrettanto normali esistenze molto vicino a noi, si nascondono altri tipi di vampiri, non meno assetati. Potenzialmente letali.

Se tra un dolcetto e uno scherzetto volete pigliarmi simpaticamente in giro per quei dieci minuti che ho dedicato oggi alla scelta dello screenshot di Parasite che fa da copertina a questo testo, sapete dove trovarmi. Cioè qui sotto.

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