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Viaggio in Giappone

Regia di Élise Girard vedi scheda film

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La recensione su Viaggio in Giappone

di EightAndHalf
5 stelle

Il Giappone è il paese dei fantasmi, e non perché compaiano lì come per magia, ma perché il Giappone tutto, per come esiste e respira, incoraggia il mondo dei morti a visitare quello dei vivi. Ma in realtà i morti, che restano invisibili fuori dal paese del Sol Levante, non se ne vanno mai. Il Giappone li lascia solo intrufolare. Sidonie, la scrittrice protagonista del film di Élise Girard, ha una vita costellata di morti, dai suoi genitori fino al marito Antoine, tutti deceduti per incidenti stradali. Per cui il suo viaggio in Giappone, che avviene per lei malvolentieri per presentare la riedizione di un suo romanzo del passato, è un’ondivaga meditazione sulla morte e su cosa le abbia lasciato. A partire dal marito Antoine, che ricompare ma lentamente scompare per lasciare che Sidonie torni ad amare e a vivere.

Il tour che il personaggio di Isabelle Huppert intraprende in Giappone assomiglia a quello turistico che fa qualunque straniero in visita in quel paese, ma fin da subito, in Sidonie au Japon, quello stesso tour assume connotati fantasmatici, come sospeso su un velo di malinconia. Niente turisti, poca folla, grandi silenzi. L’Honshu occidentale si svuota per Sidonie e lascia che i suoi drammi vi scorrano dentro.

Élise Girard sa aspettare con pazienza che Sidonie si prenda il suo tempo per ambientarsi in un paese in cui “riconosce tutto, ma tutto funziona diversamente”, rimbalzando fra l’eccessiva cortesia dei locali e l’invito alla meditazione. Lo straniamento nel film aumenta tanto più aumentano gli effetti digitali - volutamente posticci, tra la senilità degli autori della Nouvelle Vague fino a Nobuhiko Obayashi - e tanto più aumentano i silenzi, lasciando spazio alle poche parole essenziali. Sidonie finisce dentro un romanzo di enfasi poetica, in cui ogni frase è al suo posto. Nonostante questo significhi purtroppo scarnificare il ritmo del film, lasciar sciogliere la commedia, non fidarsi della risata per avvicinare a un personaggio ma preferire ricoprirlo di riverberi tragici altisonanti. Il film parla di una scrittrice in effetti, ma finisce per fidarsi più delle parole che dei suoi personaggi, lasciando che siano le prime a decidere dei secondi, e non i secondi a pronunciare le prime. Uno straniamento poetico che illude soltanto che Sidonie torni in vita ad amare: il film lo crede pure, ma intanto lui stesso si è costruito attorno una prigione di parole e orpelli stilistici. 

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