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I segreti di Wind River

Regia di Taylor Sheridan vedi scheda film

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La recensione su I segreti di Wind River

di mck
8 stelle

Homo homini homo. (Homo feminae lupus.)

 


Pentalogia (esalogia) della Frontiera di Taylor Sheridan:
- “Sicario” [***¾] di Denis Villeneuve (2015)
- “Hell or High Water” [***¾] di David Mackenzie (2016)
- “Wind River” [***¾] di Taylor Sheridan (2017)
- “Soldado” [---] di Stefano Sollima (2018)
- "YellowStone" [****] di Taylor Sheridan (2018 - in corso)
- "Those Who Wish Me Dead" [---] di Taylor Sheridan (2020)

“I lupi non uccidono i cervi sfortunati, uccidono quelli deboli.”

 


Taylor Sheridan, seconda regia e terza sceneggiatura, ci fa ascoltare il ricordo degli ultimi pensieri custoditi nella culla del sogno, mentre la notte della sua morte corre scalza sulla neve illuminata dal pieno di Luna tumefacendosi i piedi nudi, per chilometri, Natalie. Poi, si prende tutto il tempo per ri-avviare la sua di lei storia, ridestandola sotto al c(in)ereo sole trapassante un ceruleo cielo limpido e profondo di una primavera che tarda a manifestarsi e prendere il sopravvento sul verno ghiaccio sbucando tra una tempesta e l'altra, cogliendo le spoglie assiderate nel momento del trapasso dal letto di neve e coperta di brina al banco d'autopsia anatomopatologa di un obitorio col frangicoste già entrato in azione per decretarne omicidio, asfissiata dal suo stesso sangue congelato in ebollizione polmonare.

Uccisa da bracconieri opportunisti (siano essi red neck / blue collar / white trash o “indians have always killed cowboys”), la trova un uomo-lupo cacciatore di fiere, che farà di loro le sue prede.

La metafora volutamente palese dell'analogia che mette in contrapposizione i lupi (coyote, sciacalli, dingo, licaoni, warrah) del post-prologo assedianti il gregge e gli esseri umani del climax che precipita in diorama la definizione latina dell'homo homini lupus (tanto abusata quanto costitutiva dell'Homo s. sapiens, che coniuga l'umano alla bestia, la natura alla cultura), un anno e mezzo dopo “the Hateful Eight”, un altro multi-ello con stallo alla messicana in pieno Wyoming, è un'allegorica similitudine che funziona pur essendo estremamente didascalica, tanto quanto le due scene di attacco a sorpresa che la giovane agente F.B.I. e l'anziano sceriffo della Polizia Tribale subiscono (d)alla baracca e (d)al container: ingranano alla grande anche se sono un poco "telefonate", ma potentissime.

 


Taylor Sheridan, che con 3 o 4 scene formidabili e splendidamente costruite si fa perdonare qualche piccola caduta nell'appoggiarsi a scorciatoie e semplificazioni (titillando la morale gioca con la gratificazione che lo spettatore riceve dall'assistere alla giustizia che subentra alla legge: "How did he go out?" - "With a whimper..."), ripete un concetto già ben incarnato in “Hell or High Water”, là espresso così: “No one to call around here, anyway: these boys is on their own”, e qui declinato in tal modo:
- “Non dovremmo forse aspettare dei rinforzi?”
[- Shouldn't we just maybe wait for some back-up?]
- “Beh, questa non è la terra dei rinforzi, Jane. Questa è la terra dove sei per conto tuo.”
[- Well, this ain't the land of back-up, Jane. This is the land of you're on your own.].

Inoltre, dopo quelli di “Sicario” (il pre/sotto-finale: troppo retorico) e “Hell or High Water” (un classicheggiante “in guardia” non pa(cifi)cato), Sheridan, in crescendo, finalmente scrive un ottimo addio, essenziale, pacato, severo, commovente, in chiusura di pellicola: che di fatto non è un addio, ma un accanto. Il tempo di raccogliere ciò che resta, e assaporare l'orizzonte.

"You got time to sit with me?" - "Well, I ain't going nowhere."

E infine, ad un certo punto (l'agente F.B.I. buss'alla porta e a risponderle è un'analessi, prima della detonazione una volta tornati al presente), mette ottimamente in scena uno standard collaterale della sintassi e della grammatica cinematografica, il falso campo-controcampo sfalsato e non coincidente, portato allo stato dell'arte (con uno stacco contemporaneo all'azione ma verso un luogo altro) da Jonathan Demme in “the Silence of the Lambs” (il montatore Gary Roach aveva già utilizzato questo meccanismo in “Prisoners”).

 


A tal proposito, la squadra tecnico-artistica è eccezionale: musiche originali di Nick Cave & Warren Ellis (“the Proposition”, “the Road” e “LawLess” per John Hillcoat, “the Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford” per Andrew Dominik, “War Machine” per David Michôd, “Hell or High Water” per D.Mackenzie e Taylor Sheridan), con un'unica canzone di repertorio, sui titoli di coda, la bella “Feather” di William Wild/Garrett Sale, fotografia di Ben Richardson (“Beasts of the Southern Wild” di Benh Zeitlin, tre mumblecore by Joe Swanberg uno in fila all'altro, e “1922” di Zach Hilditch) e montaggio del suddetto Gary D. Roach [assistente ventennale di Joel Cox, il collaboratore storico (un quarantennio: '75-'15) per il taglia&cuci di Clint Eastwood (nelle retrovie da “Absolute Power” a “Flags of Our Fathers” e in prima linea come co-montatore ufficiale da “Letters from Iwo Jima” ad “American Sniper”), col quale ha riassemblato ed impostato la cadenza del “Prisoners” di Denis Villeneuve (ed è questo forse il film che moralmente entra più in risonanza con - e al contempo in controcanto a - “Wind River”) e quella di un documentario di un altro amico/sodale di Eastwood ("Piano Blues"), Bruce Ricker, su Budd Boetticher (per dire…), e che inoltre ha anche curato, sempre in coppia, però con Aaron I. Butler, l'editing di “In Dubious Battle” di James Franco]. Producono Peter Berg & Co.

Gran cast: Jeremy Renner (“the Hurt Locker”, “the Immigrant”, “American Hustle”, “Arrival”) in furibondo understatement, Elizabeth Olsen (“Martha Marcy May Marlene”, “OldBoy”, “Godzilla”) abilmente spaesata, e poi: Graham Greene (una carriera monumentale, con l'apice nel Kickin Bird di “Dances with Wolves” e uno degli ultimi ruoli rimarcabili in “Longmire”), Gil Birmingham (in “Hell or High Water” Comanche, qui Arapaho), Julia Jones (la donna più bella del mondo, e c'ho le prove, una e due), Jon Bernthal [con quella faccia un po' così, quel naso rotto che scricchiola ad ogni sfrociar di respiro, l'orco buono tenta di ammazzarli tutti, ma le carogne sono troppe; però la carriera è in ascesa: “World Trade Center”, “the Ghost Writer”, “the Wolf of Wall Street”, “Fury”, “Sicario” (in ruolo diametralmente opposto rispetto a questo), “the Walking Dead”, “Show Me a Hero”], Kelsey Chow, Eric Lange, etc…

 


Merchandising / Letterina a Babbo Natale-Gesù Bambino.
Voglio-pretendo il fantasti-coso bi-tracollato borsello/spallaccio/marsupio/custodia pettorale porta-binocolo & tutto-il-resto di Jeremy Renner (qui e qui).

 

Terra di passo, di sella, di slitta, mal s'addice alla fretta,

sa che tutto passa e tutto lascia traccia...

Homo homini homo. (Homo feminae lupus.)

 

* * * ¾ (****)    

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