Non c’è due senza tre. Dopo il Rocco Siffredi nevrotico e smascolinizzato di Supersex (scritta da Francesca Manieri) e la famiglia hardcore disfunzionale di Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt, che hanno rivelato una voglia di impossessamento femminile del racconto del porno, non poteva mancare una vicenda così emblematica, anche nel suo ambiguo protofemminismo, come quella di Adelina Tattilo, “rivoluzionaria” editrice del leggendario “Playmen”, la via italiana a “Playboy” prima di “Playboy”. Potrebbe sorprenderci che a produrre sia l’Aurora TV, cioè quelli della daily soap rétro di Rai1 Il paradiso delle signore, con le sue parabole virtuose di emancipazione femminile intinte nel vintage intelligente.

Ma, in fondo, c’è un evidente fil rouge tra le commesse apine operose del grande magazzino milanese anni 60 e l’“imperatrice del sesso” Adelina Tattilo nella Roma sacra e profana di inizio anni 70, che alle prime, anzi, somiglia molto, all’inizio, quando è sposa ingenua e fedele del vulcanico imprenditore Saro Balsamo (Francesco Colella, tagliato con l’accetta), fondatore di “Playmen”, maschio tossico e fedifrago presto in fuga all’estero per guai con fisco e giustizia. Per lei, dunque, prenderne il posto quale editore della rivista, nel generale scetticismo (degli uomini) della redazione, sarà l’innesco di un processo di redenzione dall’alcova confortevole del patriarcato, continuamente ribadito puntata dopo puntata. Come nelle fiction di Rai1, il segreto per far passare certe asperità d’epoca oggi altrimenti inaccettabili sta nel forzare, anche in modo anacronistico, i limiti della vera storia della protagonista (ispirata liberamente alla bella biografia di Dario Biagi, Adelina Tattilo - Una favola sexy, Odoya), facendone una sorta di Luisa Spagnoli dell’editoria sexy (pre porno) con la foglia di fico della cultura e dell’arte, decisa ad aiutare le donne sia con i nudi di bei maschioni sia con gli articoli a favore della pillola contraccettiva e del divorzio.

Però, la tentazione del santino è sempre dietro l’angolo, soprattutto nel rapporto tutto inventato con una ragazza di borgata prima ingannata da un fotografo della rivista, poi destinata a diventare la sua allieva migliore. Sotto la confezione astutamente rétro della regia di Riccardo Donna, il racconto imbastito da Mario Ruggeri (dalle serie Lux Vide come Don Matteo) è spesso eufemistico e a risentirne di più sono i personaggi maschili anche potenzialmente interessanti, come il direttore di “Playmen” Chartroux (Filippo Nigro, l’ideale per questi ruoli), ex fascista e omosessuale non dichiarato, nel quale si mescolano con troppa disinvoltura diverse figure reali. Per fortuna c’è lei, Adelina (Carolina Crescentini, appassionata), una tigre in lotta contro tutto e tutti (la sua redazione, l’ex marito-villain, i magistrati e la polizia, Hugh Hefner che la porta in tribunale per plagio di “Playboy”, persino le femministe bigotte macchiette) per uscire dal cono d’ombra proiettato dal maschio italiano, come confessa a Jackie Kennedy Onassis dopo lo scandalo delle foto paparazzate all’isola Skorpios. Peccato Mrs Playmen non abbia il suo coraggio, ostaggio della logica sempre più parageneralista del prodotto italiano di Netflix.
La serie tv
Mrs Playmen
Drammatico - Italia 2025 - durata 0’
Titolo originale: Mrs Playmen
Con Riccardo Donna, Tania Watson, Daniela Glasgow, Francesco La Mantia, Francesca De Martini, Federico Scribani
in streaming: su Netflix


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