Sogni, visioni, fantasticherie - magie rigorosamente in pellicola - sono la materia di cui sono fatti i film di Alice Rohrwacher, da Corpo celeste all’ultimo La chimera, candidato a 13 David di Donatello. Così anche Lazzaro felice (su RaiPlay), nel quale ricorre per tutto il lungometraggio un simbolo ambivalente, quello del lupo, che s’aggira dall’inizio alla fine di questa fiaba moderna. Per arrivare alla scena conclusiva occorre però fare un passo indietro e partire dal principio.

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Lazzaro felice

Il lupo, infatti, compare fin da subito, addirittura nella locandina, gioiello paratestuale disegnato dall’illustratrice e regista Mara Cerri - un’altra maga dell’artigianato, artista che con l’animazione tradizionale cerca di vedere oltre il reale. Nel poster c’è Lazzaro in primo piano e dietro di lui l’animale: il ragazzo e la bestia sembrano avere la consistenza leggera dei fantasmi, uniti da un arcano legame, quasi fossero uno il doppio dell’altro.

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Lazzaro felice

Entrando poi nel film, il lupo viene presto evocato, quando Lazzaro rimane davanti al pollaio a fare la guardia. I contadini dell’Inviolata - sfruttati con una bugia dalla cinica marchesa Alfonsina de Luna, incastrati nel passato, in un’epoca che non esiste più - temono gli attacchi della fiera, che mangia galline e capponi, impoverendoli: rappresenta quindi un segnale di pericolo, uno spauracchio per intimorirli (e dunque renderli ancora più vulnerabili e manipolabili) simile ai mostri in The Village di M. Night Shyamalan, «di cui Lazzaro felice è una felice variante», come scriveva Giulio Sangiorgio su Film Tv n. 15/2023.

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Lazzaro felice

Il lupo, per la prima parte del film, rimane fuori campo, viene nominato e poi sentiamo la sua “voce” quando il protagonista, insieme al marchesino Tancredi, sente un ululato, al quale risponde, come a un richiamo: «Pare che chiama qualcuno», dice Lazzaro udendo quel verso lontano, forse diretto proprio a lui, l’idiot savant, l’innocente dall’anima pura, rarissimo esemplare di essere umano onesto, unico destinatario di un messaggio primordiale, di un qualche segreto o di un avvertimento.

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Lazzaro felice

Come nella storia (quella di San Francesco) raccontata da Antonia a metà del film, nel momento in cui si scopre «il grande inganno» e Lazzaro cade da un burrone, il lupo sente «l’odore di uomo buono» e s’avvicina al corpo inerte del protagonista, che dopo l’incidente si alza e cammina, resuscita, e si scontra con una nuova, crudele realtà; il suo branco, che lo ha lasciato indietro, vive ora ai margini del progresso, gli ex contadini sono ora poveracci, scarti di una società per la quale erano impreparati, dove homo homini lupus.

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Lazzaro felice

Ed eccolo di nuovo il canide selvatico, che appare nella scena finale, nella quale osserva Lazzaro (quasi sapendo già cosa sta per accadere) mentre viene aggredito dentro la banca: qui sembra un’apparizione, appunto, animale simbolo di una ferocia tutta umana. Il Nostro, vittima senza peccato - capro espiatorio delle storture di «un mondo che è andato avanti» (direbbe Stephen King), corpo su cui accanirsi e sfogare rabbia, paura, frustrazione, inadeguatezza nella lotteria della vita -, giace a terra morto (per la seconda volta) in mezzo alla piccola bestiale folla, intanto il lupo gli passa accanto e trotterella in strada, nel traffico delle automobili, corre via, lasciandosi la città alle spalle.

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Lazzaro felice

Più che emanazione del proverbio plautino - metafora fin troppo letterale, esplicita -, il lupo incarna la legge di natura, libero, non soggiogato alla spietata legge dell’uomo, dalla quale si allontana (si muove infatti in direzione opposta alle vetture incolonnate). È simbolo di un tempo antico in via di sparizione, quell’universo rurale di Omelia contadina e Le meraviglie, dove compare un altro animale-totem, l’ape, riferimento autobiografico al padre apicoltore ma anche suggestiva metafora del lavoro di Alice Rohrwacher, come ha raccontato nell’intervista su Film Tv n. 20/2021: «Le api sono animali liberi e un apicoltore deve fare del suo meglio per trattenerle, ma non può costringerle o rinchiuderle; così, lavorando in pellicola, noi facciamo il nostro meglio per rendere l’immagine che vogliamo, ma non abbiamo il controllo assoluto».

Autore

Giulia Bona

Giulia Bona è nata a Voghera e ha studiato a Milano, dove si è laureata in Lettere moderne e Studi cinematografici con una tesi su Agnès Varda e il riciclaggio creativo. Riempiva quaderni di storie e pensieri, dava inchiostro alla sua penna sul giornalino della scuola, ora scrive per Film Tv. Ama leggere, i sentieri di montagna, la focaccia e sorride quando vede un cane.

Il film

locandina Lazzaro felice

Lazzaro felice

Drammatico - Italia 2018 - durata 130’

Regia: Alice Rohrwacher

Con Adriano Tardiolo, Alba Rohrwacher, Tommaso Ragno, Luca Chikovani, Nicoletta Braschi, Sergi López

Al cinema: Uscita in Italia il 31/05/2018

in streaming: su Apple TV Google Play Movies Amazon Video Rakuten TV Rai Play