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Il futuro dell'home video
di Alvy
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Nell'era dello streaming (legale ed illegale) dilagante, può ancora esserci spazio per il supporto fisico? E' un complesso discorso che non riguarda esclusivamente il mondo della fruizione casalinga di prodotti audiovisivi ma coinvolge anche altri settori importanti della vita pubblica di tutti i cittadini. Tale tendenza, agevolata tanto da una maggiore alfabetizzazione informatica quanto da un'urgente esigenza climatica di riduzione dell'impatto ambientale di carta e plastica, pare ormai inequivocabile ed inarrestabile. Ultimo giro per l'home video?
 
Pierluigi Bernasconi, presidente di Univideo da maggio 2021, in un'intervista concessa a DDay.it, ha sottolineato due aspetti cruciali. ll primo è di natura squisitamente economica: per quanto sia innegabile che si tratti di un mercato di nicchia, esso ha fatturato nell'ultimo anno circa 80 milioni di euro e pensare di rinunciare tout court ad una cifra del genere, di qualsiasi categoria di lavoro si parli, è assolutamente insensato. Il secondo è di natura culturale: i supporti fisici, oltre a possedere una qualità audio/video irraggiungibile dagli attuali servizi streaming mainstream (Netflix e PrimeVideo su tutti; discorso leggermente diverso per i meno diffusi AppleTv e MUBI), rappresentano la garanzia di conservazione di opere d'arte. Garanzia che i cataloghi virtuali di aziende private, per di più vincolati all'accesso ad Internet, non possono dare. In tal senso, Bernasconi non ragiona in modo manicheo (contrapposizione netta fisico-digitale) ma auspica una sorta di connubio tra questi due mondi solo apparentemente inconciliabili. Se è inconcepibile, nel XXI secolo, che un prodotto audiovisivo professionale venga messo in commercio solo sotto forma di disco, è altrettanto inconcepibile che venga rilasciato solo come file digitale. In nuce: se si voglia davvero mantenere vivo il mercato home video, bisogna fare in modo che continui, seppur nell'ambito ristretto di una nicchia, a produrre introiti. Affinché ciò accada, è necessario educare i consumatori alla qualità, cioè all'importanza di vedere ed ascoltare un film od una serie tv nella maniera più fedele possibile all'idea dei creatori artistici, senza che essa venga mortificata dalle aziende private di streaming che, pur di inserire nel catalogo quanti più prodotti possibili, riducono la qualità (vedi bitrate bassissimi e 4K solo nominali) dell'opera. E chi si deve far carico di ciò? Lo Stato, naturalmente, mediante l'adozione di una seria politica culturale a visione globale
 
A questo punto, giova, forse, un breve excursus sull'insegnamento scolastico dell'audiovisivo
 
Di recente, su Filmtv, sono proliferati amarcord di utenti - anche di generazioni molto lontane tra loro - sulle visioni di film nei tredici anni di istruzione scolastica. Ma che posto ricopre il Cinema nella vita scolastica odierna? Parlare in termini generali è impossibile, a causa delle profonde differenze di grado e di indirizzi tra i vari tipi di istituto. Ciò che è certo è che la legge Franceschini del 2016 abbia inserito ufficialmente l'insegnamento dell'audiovisivo come materia curricolare (cioè ordinaria mattiniera e non legata a progetti pomeridiani). Tuttavia, tale progetto è rimasto (e rimane tuttora) sulla carta in assenza dei fondamentali decreti attuativi che spiegassero concretamente come ciò potesse avvenire. Come deve essere articolata una programmazione di "Audiovisivo"? Quali obiettivi e competenze deve raggiungere un alunno al termine di un percorso pluriennale? Quante ore settimanali bisogna dedicare a tale corso? Quanto e cosa è possibile insegnare in quel numero di ore? E' giusto dare la priorità allo studio teorico e nozionistico di storia e tecniche o è preferibile fornire direttamente gli strumenti per un'applicazione concreta mirata alla realizzazioni di cortometraggi o spot? Quali esami devono aver sostenuto i docenti per poter insegnare "Storia del cinema" o "Sceneggiatura" o "Regia" o "Storia della televisione" in ambito scolastico? In che modo tali insegnamenti, complessi e differenti ma tra loro complementari, possono compenetrarsi organicamente nei tredici anni di istruzione di base? E' dal 2016 che si attendono notizie in merito e, in attesa che qualcosa si muova, il cinema entra nelle scuole come 40 anni fa, in maniera confusa e disorganica, affidato alla buona volontà e alla preparazione individuali dei singoli docenti. 
 
Spesso e volentieri, la settima arte viene mortificata come stampella didattica dell'oggetto di studio: quando ci si approcci alla prima guerra mondiale, si proietta Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick. Detto che il film con Kirk Douglas sia un capolavoro, tale procedura è totalmente erronea perché fa passare ai giovanissimi il messaggio che il cinema non sia un'arte indipendente coi propri codici, schemi e tecniche ma sia semplicemente una concretizzazione audiovisiva accessoria e subordinata all'oggetto di studio. Di tali errori macroscopici, dovuti alla scarsa preparazione dei docenti (di cui i docenti stessi non sono sempre del tutto colpevoli, non essendo stati precettati dallo Stato ad una formazione obbligatoria mirata), il percorso scolastico di ognuno di noi è pieno. Alzi la mano chi non abbia dovuto vedere Il Gattopardo di Luchino Visconti al momento di affrontare in classe lo studio di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, finendo per non comprendere appieno, in questo modo, né Tomasi di Lampedusa né Visconti. Alzi la mano chi non si sia visto propinare Il gladiatore al momento di studiare Commodo. Alzi la mano chi non abbia trovato consigliati, nel manuale di storia, prodotti dal mediocre valore artistico come 300 o Luther - Genio ribelle liberatore o La vita è bella, magari accanto a perle come Fellini Satyricon, la cui visione nelle ore di letteratura latina per capire meglio Petronio finisce per far fraintendere tanto Fellini quanto Petronio. Insomma, tali visioni didascaliche non portano né ad una formazione cinematografica seria né ad una migliore comprensione degli oggetti di studio per via del fatto che il cinema ribalti, modifichi, cambi, mistifichi (e, beninteso, ha tutto il diritto, forse anche il dovere, di farlo) fatti storicamente accertati. Il gladiatore, infatti, utilizza come MacGuffin una parte della storia romana drammaturgicamente modificata per poter parlare della società dello spettacolo: è quello il cuore tematico del capolavoro di Ridley Scott, non il fattarello storico (falsificato) in quanto tale. 300 mistifica i fatti avvenuti alle Termopili ma lo fa in maniera artisticamente infima e non dovrebbe essere visto in una scuola per lo stesso motivo per cui, quando si studi il romanzo, si faccia leggere Miguel de Cervantes Saavedra e non Fabio Volo. Far vedere, come capitato al sottoscritto, Galileo di Liliana Cavani durante lo studio, in storia della filosofia, del padre della scienza moderna, è il modo più semplice per fraintendere Galilei e fraintendere la Cavani.
 
Cosa c'entra questa dannatamente lunga disquisizione sulla scuola nel discorso sul futuro dell'home video? Se si voglia tenere in vita l'home video, bisogna educare i giovanissimi a capire i linguaggi audiovisivi e la fruizione che essi debbano avere. Se si insegna la bellezza del cinema in quanto tale senza renderlo dipendente dall'oggetto di studio, è possibile far comprendere quanto sia bello avere a casa un film in formato fisico. Tali discorsi, portati avanti tranquillamente da decenni per quanto concerni la narrativa e la bellezza dei libri cartacei, possono essere trasposti identici all'home video. Se si riesce a fare ciò, anche i giovani non avranno remore nel dotarsi di un lettore e di una piccola videoteca casalinga: parlo per esperienza non solo personale, ma anche di tanti coetanei la cui cinefilia ha portato a capire l'importanza di un certo tipo di fruizione e, conseguentemente, ad affezionarsi all'acquisto di BluRay. 
 
A proposito di videoteche: negli ultimi decenni, in Italia, si è assistito ad una chiusura generalizzata di questi luoghi nel silenzio e nell'indifferenza di tutti e, oggi, è possibile acquistare DVD, BluRay e BluRay 4K pressoché solo su siti di e-commerce. Persino le grandi catene di elettronica hanno iniziato, da qualche mese, a smobilitare il settore Film/Serie TV. Il paradosso che le videoteche siano morte mentre le librerie, ovvero il corrispettivo letterario, ancora resistano e spesso prosperino, riflette la differente importanza che, sin dalla scuola, si attribuisca alla narrativa/saggistica da un lato e all'audiovisivo dall'altro. Se leggere I promessi sposi su carta è differente dal leggerlo su un e-book, per quale motivo visionare Sentieri selvaggi in sala (o quantomeno in BluRay) deve essere la stessa cosa che vederlo in streaming compresso? E per quale motivo è giusto pretendere edizioni anche di pregio con analisi dettagliate della Divina Commedia, mentre dobbiamo accontentarci di versioni BluRay italiane banalmente masterizzate di Sentieri Selvaggi?
 
Insomma, il futuro dell'home video passa dall'educazione al cinema come arte indipendente che vada fruita in una precisa maniera. Ciò non comporterebbe solo vantaggi in termini di cultura cinematografica media ma permetterebbe alla cittadinanza di riscoprire il valore unico ed insostituibile della sala, ovvero l'unico luogo dove il Cinema è il Cinema, quintessenza della democrazia nel suo rappresentare un luogo di visione uguale per tutti, indipendentemente da estrazione sociale, titoli di studio, disponibilità economica, opinioni politiche/religiose. Insegnare a comprendere il valore della sala significa far capire il valore di una fruizione corretta e ciò, soprattutto per i tantissimi classici del passato non sempre visionabili sul grande schermo, si riverberebbe in maniera positiva sul mercato home video che, per far fronte ad una crescente richiesta, inizierebbe a presidiare fette di mercato spesso tralasciate: in Francia, dove il rito della sala è ancora fortemente radicato nelle abitudini collettive, si stampano senza problemi prodotti come la director's cut di I cancelli del cielo di Michael Cimino in BluRay (in Italia, l'orrenda edizione cinematografica tagliata dalla United Artists era disponibile solo in DVD, per giunta ormai fuori catalogo da anni) e come il BluRay di Professione: reporter di Michelangelo Antonioni (in Italia, è disponibile solo in DVD di 15 anni fa). Ci meritiamo di più dell'ennesima ristampa di film visti e stravisti che vantano, peraltro, migliaia di passaggi televisivi. Vogliamo cofanetti di Charlie Chaplin italiani, vogliamo cofanetti di John Ford italiani, vogliamo cofanetti di Ernst Lubitsch italiani, vogliamo che almeno i maestri italiani che tutto il mondo ci invidia siano reperibili sempre legalmente nella massima qualità in edizioni tanto semplici quanto da collezione. 
 
L'Iliade non può e non deve, in un Paese civile, andare fuori catalogo
 
La Divina Commedia non può e non deve, in un Paese civile, andare fuori catalogo
 
La dolce vita non può e non deve, in un Paese civile, andare fuori catalogo
 
In un Paese civile, iniziative del genere andrebbero subito a segno
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