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Un incontro con Sokurov
di yume ultimo aggiornamento
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Un incontro con Sokurov

Venezia, Ca’ Foscari, 9 settembre ore 17, aula Baratto
 
Breve cronistoria piena di buchi
_________________________________  E’ arrivato con mezz’ora di ritardo, strappato agli impegni della Mostra, neanche il tempo di cambiarsi la maglietta, per incontrare gli studenti dei corsi di cinema e chi volesse, come me e altri.
E’ rimasto con noi quasi due ore, sereno, contento di essere lì, in quella bella sala con uno stupendo terrazzo sul Canal Grande da cui arrivava un’arietta gentile a sconfiggere l’afa e la fatica della corsa per prender posto.
Ha parlato a lungo di tante cose, ha risposto a lungo alle nostre domande, peccato avesse un’interprete un tantino svogliata, forse era stanca, e certo ha tagliato molto di quello che lui diceva con la sua bella voce bassa che faceva pensare alla musica dei suoi film.
Ci sorrideva spesso, e parlava dei nostri tempi.
Ha visto tanti giovani ed ha cominciato da lì, dai giovani come speranza per il futuro, giovani che non hanno un destino tanto migliore delle generazioni che li hanno preceduti, quelle che si sono confrontate con i totalitarismi e le guerre.
 
Si sta sbilanciando qualcosa nella società, le persone  diventano selvagge, aggressive.
In Russia sentiamo questo alito agghiacciante che la società dei consumi ha imposto, la televisione, un certo cinema, la scomparsa del confine tra il male e il genio.
Abbiamo visto all’opera torturatori di talento - ha detto - geni del male, e quel male si è riprodotto lasciando semi come il fiore su cui soffi e la corolla vola via disseminandosi, prende residenza nell’animo umano, diventa carattere.
Nostro compito è fermare questa espansione, fermare la fine della parola.
Oggi la letteratura è decaduta, gli umanisti tacciono, temono, sono guardinghi ed erano i donatori di senso, ieri andavano in avanscoperta, oggi il linguaggio della politica e la televisione ne stanno decretando la morte.
 
L’ha chiamata “espansione elettrica”.
Ha citato Dante, ha detto una cosa stupenda “Dante tranquillizza”, ma dietro Dante, come dietro i grandi russi, c’erano scuole, tradizioni culturali, nessuno vola, c’è un gradino da salire dopo l’altro, e questo vale per tutte le arti, e la sua prediletta, la pittura, nasceva da botteghe dove s’imparava il mestiere.
Ma la scuola in Russia è stata annientata, gli scrittori venivano messi al muro e fucilati, 20 milioni di morti fatti da Stalin, 20 dalla guerra, 2 milioni nell’assedio di Leningrado: cosa rimane al popolo russo dopo un secolo così? Una terra che scontava secoli di arretratezza, dove si cominciava solo a pensare all’abolizione della servitù della gleba quando a Londra già funzionavano a pieno ritmo fabbriche e ferrovie.
 
E’ la fine del libro la peste dei nostri tempi.
 
Solo il caso Ejzenstejn contraddice questo teorema, dietro di lui non c’era scuola, tutto per lui è stato illuminazione, ma illuminazione cosciente, epifania ragionata.
 
Perché il suo Faust parla tedesco?
Domanda ingenua, ma lui non perde mai la pazienza, spiega con calma che la lingua di un popolo è la sua stessa vita, come pensare di leggere Dante in un’altra lingua? Faust deve vivere e parlare la sua lingua perché è stato concepito così.
E poi ha parlato della musica russa, Prokof’ev, Mussorgski, Shostakovich e gli brillavano gli occhi chiari, e di altre cose come l’importanza dell’individuo, “sono interessato alla storia del singolo uomo”, e il potere nelle mani di uomini mossi da ambizioni colossali.
Non le donne, non avremmo visto quello che abbiamo visto.
 
Bene, i nuclei erano questi, qualcosa è inevitabilmente sfuggito, ma al di là dei discorsi quello che colpisce di quest’uomo è la sua stessa presenza, quel pensiero forte che si avverte in ogni sua parola, nel gesto delle mani tese in avanti quando la tensione concettuale sale, la sua semplicità e la totale assenza di altezzosità, quel porsi con garbo per due ore senza far pesare la sua stanchezza, certo notevole.
Un grande? Certo, e non potevo non chiedergli l’autografo.
Stop,  una giornata particolare, davvero, e dovevo condividere questa grande emozione, scusatemi!
______________________________________________
 
Dimenticavo, per una singolare coincidenza, alle spalle di quest’uomo che parlava con tanto amore dei libri c’era una scritta su pietra, forse Cicerone, ne aveva tutta l’aria, o altri, non so.
Permettetemi di trascriverla con traduzione:
 
Vide librum apertum et patentem, rursus tacentem.
Libros consule ut ab illis discas qui ante nos cogitarunt.
Claude ut ipse cogites.
Sic maiores voluerunt sollemniter declarari quanta deberet esse inter doctos concordia non quidem opinionum sed animorum et studiorum ad veritatem indagandam et propugnandam
 
Vedi un libro aperto e manifesto.
Consultalo per apprendere da coloro che pensarono prima di noi.
Chiudilo per pensare tu stesso.
Così i nostri antenati vollero dire solennemente quanta dovrebbe essere tra i dotti la concordia, non di opinioni ma di spirito e di studi per indagare e diffondere la verità.
 

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