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Cell 213 - La dannazione

Regia di Stephen Kay vedi scheda film

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La recensione su Cell 213 - La dannazione

di supadany
4 stelle

Quale mistero si nasconde nella cella numero 213? Paura eh?

Stephen Kay - già autore del poco gradito Boogeyman. L’uomo nero - mette sul piatto parecchie idee, probabilmente anche troppe, ma la sua è una formula che fatica a trovare un equilibrio, anche minimo.

L’identità viene tirata per il collo da più parti e Cell 213 rischia di rimanere con un pugno di mosche in mano, nonostante le intenzioni si possano definire buone.

Per vincere una causa importante, l’avvocato Michael Grey (Eric Balfour) scende, metaforicamente, a patti con il diavolo. Sarà forse per questo che il fato gli si ritorce contro, portandolo a sua volta a essere accusato di omicidio.

Una volta condannato, si ritrova in carcere, ossessionato da strane e ricorrenti visioni mentre il comportamento del personale di custodia, soprattutto nella persona di Ray Clement (Michael Rooker), è quanto meno strano. Nel frattempo, una giovane ispettrice cerca di fare chiarezza su quanto avviene da anni all’interno della struttura carceraria, attirando su di se parecchie antipatie.

 

Michael Rooker, Eric Balfour

Cell 213 - La dannazione (2011): Michael Rooker, Eric Balfour

 

Il sistema della giustizia è degno di un film horror. Potrai anche cavartela, o far liberare qualche omicida incallito, ma la legge del contrappasso potrebbe fartela pagare a caro prezzo.

In queste due frasi, che qualora riscontrabili nella realtà raccoglierebbero applausi copiosi dal popolo, è raccolto il meglio di quanto offerto da Cell 213, una pellicola altresì piena di sbavature nel suo persistere nella contaminazione dei generi.

Già il twist lanciato nelle prime battute è quanto di più impensabile si possa concepire e, nonostante le scusanti, non trasmette buone sensazioni.

Certo, le intenzioni assumono forme invitanti, mettendo a contatto l’ambiente carcerario con l’horror sovrannaturale senza scordarsi la combutta con un doppio caso giudiziario, e Stephen Kay ha buone intuizioni, ma entrambe queste prospettive sono in parte vanificate.

I problemi principali sono riscontrabili nella difficoltà di armonizzare i vari influssi presenti e nei segni della follia ripresi da un ricettario non aggiornabile, anche se poi il fattore di discordia tra Dio e Satana legato all’espiazione delle colpe, all’interno di un luogo – nel luogo – simbolico a fare da ring, è intrigante.

Purtroppo, l’insieme variegato induce alla confusione, lo sviluppo manca di continuità, appesantendosi con parti superflue (ad esempio, il privato dell’agente Ray Clement) e finendo con l’assumere un’apparenza discretamente pasticciata.

Anche gli interpreti non offrono particolari sponde: il protagonista Eric Balfour non trasmette moti sentiti, Bruce Greenwood rimane aleatorio e Michael Rooker ripropone antichi dissapori (mai come successe in Henry - pioggia di sangue), mentre la fotografia desaturata non brilla per estetica e la sceneggiatura non bada più di tanto alla precisione, facendo ciecamente affidamento sulle componenti metafisiche.

A suo vantaggio, va detto come possegga la virtù di non essere troppo accomodante e la confluenza degli effetti di entità superiori si faccia sentire, ma appunto, una volta pescato il jolly dell’idea, quanto proposto sembra ancora più debole e pure scarsamente pratico nell’ambito degli spaventi.

Sbilanciato, con tratti sorprendenti, intorno ai quali però c’è poco per cui stare allegri.

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