Trama
Un taxi si muove tra le strade vivaci e colorate di Teheran. Al suo interno si susseguono diversi passeggeri, che esprimono candidamente le proprie opinioni, al cospetto dell'autista, che altri non è che il regista Jafar Panahi. La sua telecamera posta sul cruscotto cattura lo spirito della società iraniana e dei suoi tormenti, ora comici ora drammatici.
Approfondimento
TAXI TEHERAN: LO SGUARDO DI PANAHI SULLA REALTÀ IRANIANA
Scritto e diretto da Jafar Panahi, Taxi Teheran vede in scena un taxi muoversi tra le vie affollate e colorate di Teheran. Diversi tipi di passeggeri entrano nella vettura e ognuno di loro, in maniera candida, esprime il suo punto di vista mentre viene intervistato dal conducente, che altri non è che il regista Jafar Panahi stesso. La telecamera all'interno del taxi, trasformato per l'occasione in uno studio cinematografico mobile e sui generis, cattura in tal modo lo spirito della società iraniana attraverso percorsi ora divertenti ora tragici. Realizzato in condizioni proibitive, Taxi Teheran viene così brevemente spiegato dal regista: «Sono un regista e non posso fare altro che realizzare film. Il cinema è la mia forma di espressione e il significato della mia stessa vita. Niente può impedirmi di girare un film: anche messo alle strette, posso riconnettermi attraverso le mie opere con me stesso. Anche in spazi così ridotti e con limiti così ristretti, la necessità di creare diventa più che una necessità. Il cinema come Arte è la mia principale preoccupazione: questo è il motivo per cui devo continuare a fare film in qualsiasi modo. È per rispetto a me stesso e per sentirmi vivo».
Le dure parole del regista iraniano confermano ancora una volta come egli sia costretto a lavorare in circostanze che per la legge del suo Paese sono illegali. Ricordiamo infatti che su di lui pende una pesantissima condanna che gli impone di non scrivere o realizzare film, gli vieta di viaggiare fuori dall'Iran e lo obbliga a non rilasciare interviste. Il tutto per 20 anni. Qualora uno dei divieti venga infranto, Panahi rischia di essere rinchiuso in un carcere per sei anni. La sua colpa è quella di aver con i suoi precedenti film "infangato" l'immagine del Paese e a nulla sono servite le pressioni e la solidarietà dei festival internazionali, degli artisti di tutto il mondo e dei registi più rinomati. Taxi Teheran è il terzo film che Panahi completa nonostante le limitazioni: i precedenti sono This is not a Film e Closed Curtain.
Note
Questo Taxi Teheran, Orso d’oro a Berlino 2015, è un Panahi lieve, un jeu d’esprit militante, un pamphlet satirico semplice semplice, chiuso in auto come un Kiarostami, ma in grado di uscire dalla spirale d’oscuro ermetismo del film precedente. Panahi s’improvvisa tassista. Ed è pura, essenziale didattica del pensiero critico, sempre in punta di paradosso.
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- Orso d'Oro al Festival di Berlino 2015
Commenti (4) vedi tutti
Qualche sorriso e un forte grido di dolore
leggi la recensione completa di siro17magnifico tour de force, a dimostrazione che, se hai qualcosa da dire, e sai come farlo, ne esci sempre indenne e ammirato
commento di kahlzerSe le immagini dei clienti fossero state vere, avremo un altro film, probabilmente migliore. Ma forse era troppo rischioso.
leggi la recensione completa di tobanisL'inchiesta televisiva si innesta sul teatro civile, la levità del comico popolare sfiora la tragedia e ne racconta gli antidoti, nel falso racconto della realtà vera spinta a forza in un taxi, su e giù per le strade di Teheran come un virus nel sistema circolatorio di un regime che, per fortuna, non trova la cura definitiva contro il dissenso.
commento di rickbarrett