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Uno scomodo testimone

Regia di Peter Yates vedi scheda film

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La recensione su Uno scomodo testimone

di degoffro
8 stelle

Giallo d'autore di pregevole fattura che si segnala più che per l'intreccio, comunque verosimile ed avvincente, per la particolare e non comune attenzione rivolta ai diversi personaggi. A partire dal protagonista, il guardiano notturno Darryl, fidanzato in modo non molto convinto con Linda, la sorella del suo migliore amico Aldo (spassosa la sequenza in cui Darryl e Linda si confessano candidamente di non essersi mai amati, ponendo fine ad una relazione che si stava trascinando senza particolari entusiasmi), ed allo stesso tempo infatuato della giornalista Tony Sokolow, per la quale, una volta conosciutala (la prima improvvisata intervista fuori dalla stazione di polizia è da antologia, per quanto è sfacciato il corteggiamento in diretta di Darryl), spreca "frasi da fotoromanzo" comunicandole il suo amore e di cui registra tutti gli interventi tv per rivederli quando torna a casa a notte fonda dal lavoro. Darryl "assomma grinta e timidezza in uno sprint interclassista che perpetua il sogno americano. Ha anche una giusta dose di autoironia: «Animali e bambini mi adorano, manca solo il resto dell’umanità», e dietro agli occhiali è una specie di semifrustrato pronto a diventare Superman." (Tullio Kezich) Ottimo anche il personaggio di Aldo, interpretato da un giovanissimo James Woods, un reduce del Vietnam, omosessuale, nullafacente e codardo, pronto a disilludere in modo anche piuttosto schietto l'amico Darryl in merito alla sua relazione con la benestante Tony ("Si sta solo servendo di te. Tu sei solo un fetente custode, povero stronzo! E tu credi che una donna così..."), sospettato dell'omicidio del ricco vietnamita che lo ha licenziato ("Si vive in un bel paese davvero: essere licenziato da un vietnamita" è il suo sarcastico commento), e che, come dice il tenente che lo sta pedinando, "da bambino diceva che da grande voleva fare l'indiziato". Il bravo Peter Yates, celebre soprattutto per "Bullitt" con Steve McQueen, film passato alla storia del cinema per una sbalorditiva sequenza di inseguimento automobilistico per le strade di San Francisco, partendo da una sceneggiatura intelligente e ben calibrata di Steve Tesich ("Il vincitore", "Il mondo secondo Garp", "All american boys" quest'ultimo firmato dallo stesso Yates) costruisce un prezioso, elegante e curioso giallo rosa di finissime psicologie (si pensi anche ai due poliziotti interpretati da Morgan Freeman e da Steven Hill, il primo immalinconito dal fatto di non potere avere figli e pronto ad avviare le pratiche per l'adozione, il secondo desideroso di andare in pensione senza mai uccidere nessuno) più che d'azione. La tensione è concentrata in poche ma significative sequenze (l'aggressione notturna nell'appartamento di Darryl, il cane Ralph che sembra voler attaccare tutti quelli che entrano nell'appartamento di Darryl, mentre in realtà vuole solo giocare - quasi toccante il "duello finale" con il suo padrone, prima della sua morte per avvelenamento - l'eccellente e suggestivo finale "western" al maneggio con il protagonista che sfugge al killer nascondendosi tra i cavalli imbizzarriti) ed è alleggerita da frequenti tocchi di ironia (una battuta su tutte: "Tenente Black" si presenta ad Aldo il poliziotto di colore. "Sarà facile ricordarlo" replica il ragazzo). La parentesi sentimentale, iniziata per un reciproco interesse (Darryl vuole portarsi a letto Tony che, a sua volta, cerca uno scoop per la tv) evita lungaggini patetiche e risapute e si arricchisce di simpatiche riflessioni classiste ("E' interessante, bello e ricco?" domanda Darryl a Tony a proposito dell'uomo che la donna dovrà sposare. "Molto, molto e molto" risponde Tony. "Allora non ti preoccupare: siamo in America e un individuo così non potrà mai perdere!"). Atmosfera perfetta e coinvolgente, regia di classe, attori in gran spolvero: oltre a William Hurt, al suo secondo film per il cinema dopo "Stati di allucinazione" di Ken Russell e pronto per il grande salto che lo avrebbe fatto diventare una delle principali star degli anni ottanta, da segnalare una splendida ed intensa Sigourney Weaver, già sulla cresta dell'onda grazie al successo di "Alien" ed un diabolico e funzionale Christopher Plummer. Un film che al pubblico moderno potrebbe apparire lento e monotono, ma che proprio nella capacità di regista e sceneggiatore di puntare soprattutto sull'aspetto quotidiano e realistico della vicenda, sull'umanità di personaggi comuni e credibili, evitando improbabili e fracassone derive d'azione, facili e mal gestiti colpi di scena, scontate e fastidiose macchiette (si pensi ad un personaggio delicato e riuscito come quello di James Woods, oggi quale trattamento avrebbe potuto avere) trova la sua forza intrinseca e la sua ragione d'essere. Curiose analogie, a livello narrativo, con "Labirinto mortale" film del 1988 dello stesso regista. In "Uno scomodo testimone" grazie alla complicità di un facoltoso e losco imprenditore vietnamita, in passato arricchitosi al mercato nero di Saigon, ora in affari a Manhatthan e con le conoscenze giuste in loco, vengono fatti entrare clandestinamente negli States cittadini russi ebrei perseguitati nel loro paese, dando loro la libertà (significativo in questo senso il discorso iniziale del personaggio di Plummer: "Siamo arrivati ad avere più di un paese: in Russia siamo nati, l'America ci ha ridato la speranza e Israele ci ha dato una ragione di vita"). In "Labirinto mortale" invece un'organizzazione criminale faceva entrare negli Stati Uniti gente di fede nazista, con nomi di ebrei tedeschi deceduti e seppelliti. Prodotto dallo stesso regista con Kenneth Utt (storico produttore di capolavori come "Un uomo da marciapiede", "Il braccio violento della legge" e "All that jazz", oltre che dei più grandi successi di Jonathan Demme - da "Qualcosa di travolgente" fino a "Philadelphia", passando per "Una vedova allegra ma non troppo" e "Il silenzio degli innocenti"). Alcune curiosità: lo scantinato in cui lavora Darryl è stato creato ad hoc dallo scenografo premio Oscar (per "All that jazz") Philip Rosenberg presso gli studi di produzione di Kaufman Astoria a New York. Il personaggio di Sigourney Weaver è basato su una reale infatuazione che lo sceneggiatore Steve Tesich ha avuto per una giornalista televisiva di Washington di cui registrava tutti gli interventi in tv, esattamente come fa Darryl nel film. Tra l'altro il regista Peter Yates si è servito della collaborazione della medesima giornalista per rendere il più credibile possibile il personaggio della Weaver. William Hurt, a sua volta, ha svolto invece per un breve periodo prima dell'inizio delle riprese l'attività di custode notturno in un edificio. Il titolo originale della pellicola avrebbe dovuto essere "The janitor can't dance" (più o meno "il custode non può ballare"), ma la Fox ha preteso che venisse cambiato dapprima in "The Janitor" (con questo titolo il film è uscito in Gran Bretagna), poi nel definitivo "Eyewitness", titolo che il regista Yates non ha mai gradito. La sceneggiatura finale è il frutto della sintesi di due sceneggiature distinte firmate sempre da Steve Tesich (probabilmente una commedia ed un giallo) che però non trovavano i finanziamenti necessari per tramutarsi in film. E' stata del regista Yates l'idea di unirle in un'unica vicenda.
Voto: 7+

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