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Last Screening

Regia di Laurent Achard vedi scheda film

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La recensione su Last Screening

di EightAndHalf
8 stelle

Alla ricerca dell'esibizione. Il giovane Sylvain, sguardo perso nel vuoto, distante dalla Vita tanto quanto distante da tutto ciò che essa rappresenta e può rappresentare, vive solo nel sotterraneo di un cinema in chiusura, senza nessuna tensione, senza nessuna iniziativa, ma conducendo una vita tanto uguale a se stessa da risultare priva di passionalità, priva di tremore. L'intera sua esistenza si basa su un alternarsi sempre uguale di giorno e notte, le proiezioni che continua ad effettuare nonostate il cinema risulti chiuso (e da cui riceve un totale appagamento) e gli assassinii che realizza silenzioso e senza scrupoli la notte, in una costante ricerca di vittime mai casuali, sempre focalizzate all'interno di un progetto ritualistico meccanico ma mai istintivo, né brutale, né razionale, né logico, né passionale. Ciò che stupisce di Dernière Séance è l'ostinazione passiva e disincantata che vive il protagonista di fronte agli omicidi seriali che commette (e per fortuna non c'è nessun sottotesto poliziesco, altrimenti il film sarebbe scivolato via nei meandri delle banalità più abiette), una sequela di coltellate e mutilazioni destinate ad arricchire un harem mortuario che il protagonista si costruisce nel sotterraneo del suo cinema in una devozione nei confronti della madre (ritratta in una foto nel bel mezzo di una parete) che più che religiosa è quasi divistica, perché figlia di un'ossessione che la stessa madre gli ha trasmesso e che si basa essenzialmente sulla necessità dell'esibizione, della performance (cinematografica come teatrale), del guardare e dell'essere guardati. Tutte le donne che lui uccide (fatta eccezione per una, riguardo cui si può sempre trovare qualche scappatoia comunque) si esibiscono, e risultano attive in un'attività che si basa sull'essere osservate, non giudicate, ma semplicemente scrutate: la ballerina, la taxista-cantante, la stessa protagonista femminile, che fa l'attrice ma che non vediamo mai recitare, forse nel tentativo di accrescere una tensione che nel film nasce soprattutto dalla possibilità (vicina quanto distante) che il protagonista decida di fare di lei una delle sue vittime (anche perchè lei rientrerebbe tra di esse per tutte le sue caratteristiche). E anche la venditrice di anelli, implicitamente, potrebbe rappresentare una donna che si esibisce di fronte a lui per la sua scenografica apparizione nella notte, in mezzo al nulla, su un marciapiede di una strada poco attraversata e poco frequentata. Perché lo sguardo stesso del protagonista (nutrito di film fino all'osso) è diventato cinepresa, sguardo registico, riflessione sull'immagine. Perché dietro il suo trauma infantile, che lo vede testimone del suicidio della madre, eseguito in maniera tale da essere osservato dal figlio, e dunque in una maniera profondamente teatrale (nonché perversa), vive e respira (un po' come il ripostiglio-mausoleo, ripreso con un sottofondo musicale costante e assai perturbante) la grandiosa discrepanza fra la vita vissuta e la vita rappresentata, quella che il cinema sa ricreare e che invece in Dernière Séance arriva a un punto di non ritorno, per cui ad essere rappresentata non è più una nuova possibile vitalità, ma la morte stessa. 
Nel tentativo di ricostruire, sulle ceneri di un cinema passato e impossibile, un frammento del corpo della madre (tramite l'asportazione delle orecchie di tutte le sue vittime), Sylvain riconduce la sua stessa vita/non-vita alla conseguenzialità passionale quanto geometrica delle immagini di un film, tanto che non appare campato in aria il discorso meta-cinematografico (che si rivela banale e ingenuo a chi cerca dal film una trama poliziesca e popolare), quanto piuttosto una riflessione profonda e non ovvia su come il Cinema sia un'evasione e al contempo una prigione, su quanto sia pericolosa l'immagine e la sua potenza, su quanto il ritorno alla realtà (fatto di azioni attive [l'innamoramento] e azioni passive [lo smantellamento del cinema]) sia un'invasione da parte del fuori nei confronti di una nostra privata interiorità che è fin troppo distante dalla vita stessa: una paradossale violazione della privacy. 
Lo sguardo di Sylvain si estende agli ambienti che percorre e si fonde con le immagini del renoiriano French Cancan grazie alla splendida regia di Laurent Achard, che sa creare dal nulla una tensione che fa passare immediatamente l'ora e mezza (certo se non si è partiti dal presupposto di vedere un thriller come gli altri, un film come gli altri): Dernière Séance cerca di definire le responsabilità dell'arte cinematografica all'interno della vita quotidiana imbastendo uno spettacolo asettico e gelido di un'esistenza vuota, unidirezionale, morta. E il finale, come moltissimi altri momenti del film (nelle sue improvvise e violente ellissi, così come nelle immobilità e nei tempi morti), colpisce per come incarna in una sola immagine la vita finalmente vissuta ma sul punto di morire (caricata del peso di una realtà mai conosciuta), e la vita "ricostruita", finta, misteriosamente quanto oscenamente disinteressata a chi ha di fronte. La possibile rischiosa distanza del Cinema. Non importa quanto siamo vicini allo schermo.

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