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Cortex

Regia di Nicolas Boukhrief vedi scheda film

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La recensione su Cortex

di joseba
6 stelle

Polar senile con sfumature da detective story anglosassone, Cortex è il quarto lungometraggio di Nicolas Boukhrief, cofondatore nel 1982 della rivista di cinema fantastico e horror Starfix, caporedattore del programma televisivo Le Journal du cinéma per l'emittente Canal+ nonché sceneggiatore di Jean-Jacques Zilbermann (Tout le monde n'a pas eu la chance d'avoir des parents communistes, 1993) e Mathieu Kassovitz (Assassin(s), 1997). Scritto a quattro mani con l'apprezzata sceneggiatrice Frédérique Moreau, Cortex tratta il tema dell'Alzheimer nel quadro del genere noir, raccontando la vicenda di un flic dal passato brillante (tanto da guadagnarsi il soprannome del titolo) che, in pensione da ormai tre anni, decide di ricoverarsi in una clinica per tenere sotto controllo l'evoluzione della malattia.

L'intreccio si sviluppa secondo un percorso tanto lineare quanto convenzionale: arrivo di Charles alla Résidence, primo impatto col personale medico e con gli stravaganti ospiti della struttura, nascita del sospetto a causa di morti ravvicinate che colpiscono pazienti non gravi e inizio dell'indagine ostacolata da infermieri e familiari (il figlio Thomas), che interpretano le supposizioni del vecchio poliziotto come deliri provocati dalla demenza incipiente. Alla diffidenza generale si aggiungono naturalmente i vuoti di memoria dell'Alzheimer, che obbligano Charles ad annotare confusamente su un quaderno le ipotesi e gli indizi accumulati giorno dopo giorno. Il conflitto è duplice: contro la minimizzante ottusità degli altri e contro la progressione interna del morbo che mina la lucidità mentale dell'ex flic.

Ancorato al punto di vista di Charles (un André Dussollier smagrito e intraprendente al tempo stesso), il film asseconda fermamente i suoi sospetti e, grazie all'aiuto della più imperscrutabile delle pazienti, i nodi, amnesie permettendo, finiscono per venire al pettine. Siamo insomma di fronte a una variazione sul tema del whodunit britannico (non a caso Charles è un accanito lettore di Sherlock Holmes) con complicazioni blandamente neuropatologiche: di fatto i sintomi dell'Alzheimer si manifestano troppo sporadicamente perché si possa davvero dubitare della perspicacia del protagonista. Inoltre Dussollier dà vita a un personaggio così simpatico e fragile che prenderne le distanze risulta umanamente impossibile.

La regia di Nicolas Boukhrief è definibile come "fiction televisiva nobilitata": il quarantacinquenne cineasta francese (classe 1963) imposta luci e punti macchina nel modo più semplice e leggibile che si possa concepire, piazzando la cinepresa nei luoghi che garantiscono maggiore unità alla scena e assegnando le rarissime soggettive del film quasi esclusivamente al protagonista, in ottemperanza al principio della focalizzazione interna. Ma (e questo è l'espediente registico nobilitante), anziché frammentare lo spazio secondo le regole del découpage classico, predilige al contrario riprese lunghe tendenti al piano sequenza, conferendo al film un'andatura posata che si accordi delicatamente alla tematica senile. Unica infrazione stilistica: la fuga notturna dalla clinica, in cui Boukhrief utilizza il digitale per rendere visivamente lo spaesamento di Charles nel dedalo della metropolitana parigina. Cionondimeno, stanti le smaccate premesse convenzionali, il film non va oltre la soglia della mera professionalità (che nel caso di Dussollier, inutile sottolinearlo, fa rima con eccellenza). Commestibile.

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