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Il migliore dei mondi

Regia di Maccio Capatonda, Danilo Carlani, Alessio Dogana vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su Il migliore dei mondi

di Souther78
8 stelle

Opera di cesura con il passato cinematografico dell'autore, che offre più spunti di riflessione e critica sociale anzichè risate a buon mercato. Deludente soltanto per chi è troppo assuefatto al proprio smartphone per realizzare l'ovvia verità sottesa al titolo dell'opera. Peccato la contraddittoria collaborazione con il gigante cattivo Amazon.

Marcello Macchia come Nanni Moretti... o quasi. Non soltanto la citazione musicale (Ritornerai, La Messa è finita) ci riporta alla memoria un certo cinema morettiano, ma anche la vena ironica che sfocia nella satira sociale e di costume. Ormai 45 anni fa, il "Leone di Monteverde" descriveva una gioventù di ventenni disorientati, e confusi tra l'attaccamento agli ideali politici che avevano animato il decennio precedente e la superficialità dilagante che avrebbe invaso gli anni '80.

Quasi 50 anni dopo, quelli che allora erano appena nati, sono oggi i "sempregiovani": 40-50enni che hanno vissuto un mondo scomparso, e possono fare dei paragoni. O, perlomeno, potrebbero, poichè sono in realtà talmente imbevuti e impregnati di "modernità" da non avere nemmeno l'idea di come attendere le occupazioni più banali senza un assistente virtuale, un navigatore, uno smartphone.

 

Esordisce così, con una stereotipazione che, paradossalmente, è perfino meno spinta di quella vista in Ecce Bombo: la solitudine nella moltitudine del vivere contemporaneo. Come chi scrive aveva teorizzato esattamente 20 anni fa nella tesi di laurea, i rapporti mediati dalla Rete sono aumentati nel numero ma sono completamente insteriliti: superficiali, approssimativi, strumentali, occasionali, deviati e avvilenti. Così, il "nostro" si fa portavoce di una generazione fuori tempo massimo, che si atteggia come al tempo dei venti, ma venti non ne ha più: almeno il doppio, e probabilmente oltre.

 

L'universo alternativo di Maccio è una sorta di comunità Amish aggiornata ai tempi moderni, e che, proprio come quest'ultima, ha sancito un "confine tecnologico" invalicabile, per evitare che lo strumento assuma il controllo dell'utilizzatore.

 

Ci viene spontaneo empatizzare con quel mondo ideale (e idealistico), in cui le cose sono ancora sotto controllo, e supportano i rapporti e le esperienze umani, anzichè artefarli. Del resto, basti pensare a tecnologie quali IDdigitale, auto elettriche, valuta digitale, telecamere di sorveglianza, o anche semplicemente dispositivi touch ubiqui... in che modo questi oggetti migliorano le nostre vite? Ci rendono soltanto puntini tracciabili ovunque, dalla Rete agli acquisti, agli spostamenti, agli accessi nei centri urbani... Auto che vengono spacciate per ecologiche e sono eco-mostri basati su atroci devastazioni ambientali, sfruttamenti umani, cariche di batterie a base di pericolosissimo litio, pronto a infiammarsi ed esplodere solo se esposto all'aria o all'acqua, che non si sa dove stoccare una volta degradate. Auto che costano 3 - 5 volte quelle a benzina, che non ci consentono di spostarci se non poco alla volta, che ci obbligano a essere tracciati e identificati a ogni colonnina elettrica (in attesa che, come in Cina, introducano i sistemi di controllo del credito sociale per determinare se siamo o meno meritevoli di ricarica), il cui unico scopo è rendere l'auto stessa un bene di lusso e perciò non più possedibile dal popolo. Ma, anche senza arrivare all'auto elettrica, sarà sufficiente chiedersi che vantaggio derivi dal rendere tutti i controlli di bordo "touch", così distraendo dalla guida e facendo correre immani rischi anche semplicemente per impostare la ventilazione di bordo.

 

E' dunque impietoso il quadro che l'autore presenta di un 2023 connotato da persone "perdute" dietro a sciocchezze e ninnoli elettronici. Alcuni hanno accusato l'opera di scarsa comicità, e in ciò ravvisiamo l'ennesimo parallelismo con Ecce Bombo, film drammatico che però venne percepito dai più come una commedia. Il migliore dei mondi, allo stesso modo, sembra avvalersi della satira e attingere al grottesco strumentalmente: sembra dunque miope soffermarsi sulla vis comica quale parametro fondante il giudizio. Si ride, e si sorride spesso, ma con l'amara consapevolezza di assistere a una rappresentazione assai più reale che caricaturale.

 

Neppure può sfuggire l'ormai cospicua e ingombrante presenza di Amazon perfino in un'opera che teoricamente sembrerebbe l'antitesi della società che il colosso mondiale sta imponendo. Senza dimenticare ovviamente che si scrive Amazon, ma si legge BlackRock. Uno dei tanti gangli della massoneria internazionale che venera appunto la pietra nera.

 

Insomma, troviamo stavolta un autore maturato, che, pur non spogliandosi totalmente del proprio armamentario di comicità surreale e dei giochi di parole che spesso la contraddistinguono (uno su tutti: Stefano Lavori), mostra però la volontà di sorpassare un certo retaggio, aprendosi a orizzonti differenti e lasciando da parte tutti gli storici ausiliari comprimari (in particolare Herbert Ballerina). Parrebbe un'opera di transizione, che lascia intravvedere un'evoluzione futura tutta in divenire, che speriamo vivamente non venga frustrata dall'influenza del "pubblico di sempre", oramai troppo appiattito nella comicità più ridereccia per poter apprezzare un genere più impegnato.

 

Auguriamoci che il regista persegua più il suo senso critico, che le critiche senza senso. E, soprattutto, che possa realizzare il passo falso del collaborazionismo con il gigange malvagio.

 

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