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Io capitano

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Io capitano

di laulilla
8 stelle

Grazie all’emozione di chi, dopo averlo visto, ne ha raccomandato la visione, quest’ultimo film di Garrone sta guadagnando pubblico e sale e avvicina gli spettatori più giovani al regista forse più importante del cinema italiano oggi, per altro, come ha scritto qualcuno, con pochi veri concorrenti.

 

Il commosso passa-parola, dunque, è riuscito a superare le diffidenze malevole – non solo politiche, temo – di chi non l’avrebbe voluto neppure a Venezia: il film sta conquistando sale e pubblico anche a livello internazionale.

L’ANSA ci informa, infatti, che “mentre Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo sono già presenti come paesi coproduttori” il film è stato acquistato “in India, Canada, in tutta l’America Latina, Israele, Spagna Portogallo, Grecia, Bulgaria, paesi della ex Yugoslavia. Trattative in fase avanzata con un importante distributore negli Stati Uniti. E con Australia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna, Irlanda e Paesi scandinavi”. 

Il film, inoltre,  è stato designato per la corsa all’Oscar nella categoria del miglior film internazionale dopo aver vinto, come sappiamo, i due prestigiosi premi – Leone d’argento per la regia a Garrone e il “Mastroianni” a Seydou Sarr – all’ultima rassegna veneziana.

È girato in gran parte nella lingua wolof (la lingua del Senegal) in piccola parte in francese; mentre in italiano sono necessariamente i sottotitoli, nonché il titolo, Io capitano, eco del grido di gioia del piccolo Seydoux, che, finalmente, affrancato dalle paure e dalle malinconie, si è impadronito della sua vita, dopo il tormentoso viaggio dall’Africa all’Europa, che è reale e simbolico del suo passaggio all’età adulta.

 

I due attori principali, Seydoux (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) sono molto giovani e danno voce, corpo e anima a due cugini, ovvero le persone in carne e ossa la cui vicenda terribile era stata  studiata a lungo dal regista durante le sue visite a numerosi Centri d’accoglienza di Catania: due ragazzi sedicenni, senza gravi problemi di povertà o familiari, che vivevano nella periferia di Dakar, capitale del Senegal, nell’Africa nera subsahariana.

In Senegal è presente e accettata la tradizione animistica con i suoi culti e le sue leggende, integrata con una più moderna organizzazione territoriale, a cui si era dedicato con cultura e intelligenza il poeta francofono Léopold Sédar Senghor (1906 – 2001), che al suo paese d’origine era tornato con un progetto politico*.

 

Mi piace ricordare, a questo proposito, le parole di questo grande intellettuale, che aiutano a capire non solo il film, ma quel grande e complesso fenomeno dei nostri tempi che vanamente qualcuno cerca di contenere con misure repressive e disumane, con la prigione e talvolta trattando con i peggiori tiranni della terra le condizioni per tenerla lontana dal “civile” mondo occidentale:

 

“la vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi apporti delle civiltà straniere”.

 

 

 

 

 

 

Matteo Garrone, dunque, ha girato un film, come ho scritto, su un terribile fatto di cronaca, avvalendosi di due giovani attori senegalesi che non si conoscevano e che non avevano avuto, fino a quel momento, esperienze cinematografiche. Ha avuto il coraggio meritorio di non girare un documentario, ma di rimanere fedele alla sua poetica e al mondo incantato delle fiabe, e certo molto gli ha giovato l’esperienza multiculturale di matrice senghoriana di Seydou e Moussa che intraprendono il viaggio con l’obiettivo di raggiungere il mediterraneo dall’Atlantico portando con sé le aspettative e la curiosità di chi se ne va dalla propria terra non per fame, non per fuggire dai tiranni, ma per “sradicarsi”, per conoscere il mondo vivendo un’avventura  straordinaria con la fiducia ingenua dei ragazzi, anche se sconsigliati in famiglia e nella loro città, in cui qualche ritorno e molti non ritorni comunicano le crescenti difficoltà di spostarsi.


L’inattesa deviazione dal Niger – dove erano stati taglieggiati e abbandonati in pieno deserto sahariano – alla Libia,  li costringe ad affrontare le bande crudeli dei signori della guerra, che li avrebbero separati, minacciati di tortura e di morte…


La sopravvivenza di Seydou ha davvero del miracoloso e porta il segno di una tenacia insospettata alla partenza, di una volontà ferrea di resistere e di ritrovare Moussa, per affrontare con lui l’ultimo penoso tratto del percorso, quello che li avrebbe portati a Lampedusa, su un barcone stracolmo di disperati che Seydou avrebbe assistito con umanità, confortandoli e salvandoli dalla morte.

È lui il vero nuovo eroe deile storie d’avventura? No, è il ragazzo cresciuto che è diventato uomo assumendo le proprie responsabili decisioni, superando con semplicità incertezze e timori, aiutato dai miti antichi della sua cultura africana e dalla propria ritrovata coscienza tranquilla.

 

Un racconto insolito, rispetto allo schema di Propp; un racconto di formazione in cui ravvisiamo gli eroi che tanta cultura mediterranea ci ha reso amati e familiari: un po’ Ulisse, un po’ Enea, un po’ Gilgamesh.

Garrone, con questo straordinario e potentissimo film permette al pubblico, sempre più vasto, di vivere con incantata partecipazione il complesso dramma dell’emigrazione, grazie anche alla bellissima fotografia di Paolo Carnera, alle belle musiche di Andrea Farri e al lavoro dei co-sceneggiatori: Chiara Leonardi, Andrea Tagliaferri, Massimo Ceccherini, Nicola di Robilant, Massimo Gaudioso

 

 

*Léopold Sédar Senghor
https://www.treccani.it/enciclopedia/leopold-sedar-senghor/

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