La recensione su Little Forest

di leporello

7 stelle

Certo che, a guardarlo in preda a un certo languorino dovuto ad esigenze stagionali e/o di mantenimento della linea, “Little Forest” potrebbe avere un effetto lievemente disturbante: la ridondanza delle inquadrature e delle sequenze dedicate al cibo, infatti, è così insistente da diventare quasi provocatoria.

Ma d’altra parte, la “fame” per cui Hye-won si ritrova ad essere nel suo villaggio d’origine (“Non me ne sono andata: sono tornata.” spiegherà ad un certo punto a chi le chiede il perché della sua fuga da Seul) non è solo quella per i sapori e i gusti genuini, di un pomodoro addentato appena colto dalla pianta, una verza cavata dalla neve e stufata, o un caco secco assaporato dopo mesi di maturazione all’aperto, ma è anche la fame per i sentimenti veri, profondi, per i legami forti che veramente contano nella vita di ognuno.

E sono molti, oltre ai piatti che quella sadica di Soon-rye Yim spiattella sotto il naso di chi, come me, dovrebbe mangiare poco e leggero, i legami che sa inanellare con delicatezza: quelli amicali (molto indovinato il terzetto con l’amica d’infanzia e il giovane contadino), quelli naturali (quanto è legato un contadino, o l’uomo in generale al lavoro della sua terra?), quelli animali (carino l’innesto di “Quinto”, il cagnolino che accompagna, con la propria, la crescita della protagonista attraverso il passare delle stagioni), fino al principale, quello filiale, rincorso dietro una madre data per assente e che invece è il senso ultimo della fame che muove tutta la vicenda, e che culmina in uno splendido finale celato dietro una porta socchiusa, una tenda discosta, ed un sorriso in fermo immagine che fa scattare un meritato applauso.

PS = d’ora in avanti non mangerò mai più nemmeno una solo cipolla, così, distrattamente, come ho fatto fin qui.

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