Abbiamo la sensazione che ci vorrà un po’ prima di immergersi di nuovo nell’acqua fredda del mare o di un lago senza che la mente corra al “metodo Prendergrast” per acclimatarsi alla temperatura. Robbie e suo fratello lo usavano fin da bambini, due tocchi sulle spalle prima di entrare; e ora che è rimasto solo, Robbie continua a ripetere il gesto per prepararsi al freddo in cui sta per immergersi: non solo quello dell’acqua giù alla cava abbandonata, ma quello che gli scorre nelle ossa mentre mette a segno, una dopo l’altra, rapine ai danni di una banda di biker spacciatori con cui ha parecchi conti in sospeso.

Troppo mirati, questi colpi, per non attirare l’attenzione sia dei biker in questione, gli ultra gerarchizzati Dark Hearts, sia dell’FBI, che rispedisce sul campo l’agente Tom Brandis, segnato da un lutto ineffabile e rassegnato a finire la carriera dietro a una scrivania. Tocca a lui, e alla task force di giovani inesperti che gli hanno affibbiato, scovare i rapinatori, in una caccia all’uomo assai più ingarbugliata di quanto tutti i coinvolti pensino. Quattro anni dopo la bellissima Omicidio a Easttown (e nello stesso anno in cui ha firmato gli script di due thriller agli antipodi tra loro, Echo Valley e The Lost Bus), Brad Ingelsby torna sul luogo del delitto, in Pennsylvania e per la precisione a DelCo (Delaware County), a sud di Philadelphia, pennellando il ritratto di un’America rurale logorata dalla droga e dalla mancanza di orizzonti.

Se le opzioni sono spacciare o spalare spazzatura, allora tanto vale rapinare gli spacciatori e puntare verso il Canada; è quel che pensa Robbie Prendergrast, uno dei due poli emotivi di una serie che è anche e soprattutto la storia di due padri, di due uomini spezzati, di due codici etici affini, a dispetto delle “squadre” opposte. Robbie il rapinatore (Tom Pelphrey, magnetico) e Tom lo sbirro (Mark Ruffalo da premio, capace di esprimere con ogni gesto il dolore di un uomo stupito di sentire ancora battere il suo cuore) sono due facce della stessa medaglia, uomini che non si arrendono ad aver perso la fede (faccenda struggente nel caso di Tom, con un passato da prete cattolico: la scrittura del personaggio è superlativa), che sanno ancora da che parte stare. E che conoscono il peso e il valore della responsabilità, uno dei temi cruciali del nostro tempo e di questa impressionante miniserie HBO, tra le vette seriali del 2025 per come Ingelsby cesella le infinite ed estenuanti sfumature di grigio in cui i personaggi si muovono.

Criminali dal cuore d’oro, sbirri corrotti, biker spietati, mogli complici, figli portatori di colpe indicibili, sorelle incapaci di parlarsi: un coro di umana imperfezione in cui tutti, dal più apparentemente crudele al più ingenuo, si dibattono con un personale senso di giustizia che lascia lo spettatore impantanato tra l’empatia e l’impossibilità di individuare il Male. Come in una delle grandi serie di David Simon, da The Wire in giù, sono «tutti nel gioco», a comporre un affresco civile e morale che bilancia senza sforzo le scene action coi monologhi introspettivi, anche grazie alla regia (per quattro episodi su sette) di Jeremiah Zagar, capace di diluire l’action in slanci estatici e dettagli intimisti. Un colpo al cuore.


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