Portare al cinema Lo straniero di Albert Camus con un film significa muoversi lungo una linea sottile tra parola e silenzio, tra azione e sospensione. Con l’adattamento firmato da François Ozon, il racconto esistenziale di Camus assume una forma visiva che non punta a spiegare, ma a osservare. Il film, come il romanzo, si costruisce su ciò che resta implicito: un uomo che attraversa la propria vita con lo stesso distacco con cui viene guardato.


Non si tratta di una trasposizione didascalica o di una replica letterale. Lo stesso Ozon, nelle note di regia, parla apertamente dell’inevitabile “tradimento” insito in ogni adattamento. Più che una tesi, quello che emerge è un interrogativo. Chi è Meursault? E cosa resta oggi di un’opera che ha posto l’assurdo al centro della condizione umana?


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Benjamin Voisin
Lo straniero (2025) Benjamin Voisin

Il giorno dopo l’addio

Il racconto inizia con una morte e una reazione mancata. Meursault, giovane impiegato ad Algeri nel 1938, partecipa al funerale della madre senza manifestare emozioni evidenti. Il giorno dopo trascorre alcune ore al mare con Marie, una collega. Nessun gesto eclatante, nessuna crisi: solo il passaggio da un evento all’altro, come se il tempo non producesse scarti.


Questa apparente indifferenza si riflette nella quotidianità: sigarette fumate in silenzio, pasti consumati senza enfasi, relazioni spogliate di tensione emotiva. Finché l’intervento del vicino, Raymond Sintès, non introduce una deviazione nel suo percorso. Meursault si ritrova coinvolto in una vicenda violenta che culmina, durante un pomeriggio assolato, in un omicidio. Da quel momento, lo sguardo si sposta: dalla vita all’attesa, dall’azione al processo.

Corpi assenti e presenze necessarie

Meursault non sembra muoversi per scelta, ma essere attraversato dagli eventi. Non interpreta ruoli. Benjamin Voisin ne vuole restituire la figura attraverso un’interpretazione fisica, che lavora sull’inazione e sulla presenza muta. Il protagonista si mostra così come una figura costante, ma elusiva, simile a una domanda che ritorna.


Intorno a lui si muovono personaggi che, in questa versione, assumono un rilievo differente rispetto al romanzo. Marie Cardona, interpretata da Rebecca Marder, non appare come semplice figura accessoria, ma come presenza autonoma. Il suo rapporto con Meursault viene presentato come consapevole, segnato da una tensione tra attrazione e distanza. La sensualità non è estetizzata, ma inserita nella logica narrativa: rappresenta un legame che non si trasforma in reciprocità, ma che non si spegne.


Anche Djemila, sorella dell’uomo ucciso da Meursault, riceve uno spazio assente nel testo originale. La sua presenza rompe un silenzio: quello che, nel libro, circonda la vittima, priva di nome e voce. È una scelta che inserisce un’altra prospettiva, rendendo visibile una coesistenza di mondi che nel racconto originario restavano separati.

Rebecca Marder, Benjamin Voisin
Lo straniero (2025) Rebecca Marder, Benjamin Voisin

Giocare al gioco, oppure no

Uno dei nuclei del film Lo straniero è il tema del non allineamento. Meursault non partecipa alle finzioni sociali, non simula, non si conforma. Questo lo rende distante, non solo dalla legge, ma dalle aspettative collettive. La condanna non riguarda solo l’atto compiuto, ma la mancata adesione a una grammatica emotiva: non ha pianto, non ha amato “come si dovrebbe”, non ha dato senso alla morte della madre, né a quella dell’uomo che ha ucciso.


Ozon orienta la narrazione verso questo punto: l’assenza di finzione sociale come forma di isolamento. Meursault resta fuori scena, non perché escluso, ma perché non assume il ruolo previsto. Questa distanza diventa un punto d’osservazione: lo spettatore, anche quando non partecipa, registra ciò che accade. Ma questa chiarezza non produce legami, solo consapevolezza. E, forse, è proprio questa consapevolezza a rendere possibile l’accettazione della fine.

Tra il sole e il silenzio

L’Algeria coloniale del film Lo straniero non è semplice ambientazione. Ozon la rappresenta con materiali d’archivio, inquadrature fisse, un bianco e nero che contribuisce all’astrazione. Non viene tematizzata esplicitamente, ma resta presente come clima, come contesto mai neutro. Due realtà coesistono: quella coloniale, visibile, narrata; e quella araba, laterale, raramente nominata. La tensione è nei vuoti, non nelle dichiarazioni. 

Il film non avanza spiegazioni, ma dispone elementi. La solitudine di Meursault non è solo personale: si intreccia con un tessuto culturale frammentato. Lo “straniero” non è solo lui, ma anche chi resta ai margini del racconto, chi non ha parola o nome.

Lo straniero, nella versione di Ozon come nel romanzo di Camus, non propone risposte. Propone domande. Cosa significa vivere senza cercare un senso? È possibile restare neutrali di fronte al dolore, alla violenza, all’amore? E cosa comporta il rifiuto di fingere?

Il film Lo straniero non cerca di spiegare queste domande, ma di riformularle in un nuovo contesto. Più che un’interpretazione, è un’occasione di ascolto. Un invito a sostare in quel punto fermo, tra il sole accecante e il rumore di una porta che si chiude.


Disclaimer
Questo testo è stato redatto sulla base di informazioni e note di regia condivise dalla produzione, supportate dalla visione di interviste e materiali promozionali, ma senza avere visto il film. In alcun modo, quindi, questa presentazione di Lo straniero può essere intesa come una recensione o una critica cinematografica.

Autore

Redazione

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Filmografia

locandina Lo straniero

Lo straniero

Giallo - Francia 2025 - durata 120’

Titolo originale: L'étranger

Regia: François Ozon

Con Benjamin Voisin, Pierre Lottin, Denis Lavant, Swann Arlaud, Rebecca Marder, Jean-Charles Clichet