Nel panorama del cinema italiano contemporaneo, il film Bobò di Pippo Delbono si presenta come un documentario atipico, potente nella sua essenzialità e disarmante per la radicalità del suo sguardo. Non è un film che cerca l’applauso facile. È un lavoro che chiede di essere ascoltato con attenzione. Di essere guardato nel tempo lungo. E soprattutto, di essere ricordato.
Con Bobò, Delbono firma il suo progetto più personale e politico. Più che raccontare una storia, si assume il compito di restituire dignità a un’esistenza messa ai margini per quasi mezzo secolo. Bobò, sordomuto, analfabeta, microcefalo, ha vissuto 46 anni recluso in un manicomio ad Aversa. Era, come tanti altri, uno “scarto” sociale. Invisibile. Inascoltato. È proprio lì, in quel luogo di detenzione e abbandono, che Delbono lo incontra e ne fa, contro ogni previsione, il cuore pulsante del suo teatro.

Per oltre vent’anni
Il film Bobò segue un arco temporale che si estende su oltre vent’anni, costruito attraverso un vastissimo materiale d’archivio (più di 300 ore digitalizzate) e nuove riprese ambientate nei luoghi originari della vicenda: Aversa e Napoli. Ne emerge una narrazione intima e stratificata, che non si limita al ritratto biografico di Bobò, ma che intreccia dimensione pubblica e privata, artistica e politica, documentaria e lirica.
La voce narrante di Delbono, sempre presente ma mai invadente, guida lo spettatore lungo una traiettoria umana e artistica che scardina i confini tra normalità e devianza, tra espressione e silenzio. Il regista non adotta uno sguardo pietistico, non mitizza il suo protagonista, ma lo accompagna con una vicinanza rispettosa, spesso interrogandosi sul significato stesso del fare arte.
Chi era Bobò
Nel film, Bobò appare come ciò che è stato davvero: un uomo impossibile da etichettare. In scena, la sua espressività fisica (libera, anarchica, profondamente poetica) ridefinisce il linguaggio stesso di Delbono. Non recita, ma esiste. Senza parola, comunica. Senza tecnica, commuove. Senza formazione, trasforma la scena in verità.
Bobò è corpo, è gesto, è presenza. La sua forza comunicativa rompe le griglie della performance tradizionale. È stato detto che Franco Basaglia avrebbe voluto conoscerlo: nel film viene riportata la frase di un assistente del celebre psichiatra che lo definisce “il sogno di Basaglia diventato realtà”. Non è una battuta. È un’affermazione politica. Bobò non è solo l’emblema della liberazione da un manicomio, ma il simbolo di una liberazione più profonda: quella dello sguardo dell’altro.

Reclusione e follia
Il film Bobò affronta, senza retorica e con lucidità, alcune questioni cruciali:
La reclusione e la marginalità. Bobò non è solo la storia di un uomo, ma il riflesso di una società che per decenni ha nascosto il diverso sotto la coltre dell’istituzionalizzazione. Il manicomio di Aversa non è un luogo del passato, ma una ferita ancora aperta nella memoria collettiva italiana.
La dignità attraverso l’arte. L’incontro con Delbono non è salvezza, non è redenzione. È un atto di riconoscimento. L’arte, qui, non è terapia ma verità. Il teatro diventa strumento di emancipazione non perché “cura”, ma perché accoglie ciò che la società esclude.
Il linguaggio e il silenzio. Bobò non parla, ma comunica. La sua voce è fatta di gesti, di occhi, di presenza. Il documentario interroga, in modo implicito ma radicale, la nostra dipendenza dalla parola per riconoscere l’umanità altrui.
La memoria. Non c’è nostalgia nel racconto di Delbono, ma un atto politico di memoria. Salvare le immagini di Bobò significa evitare che venga dimenticato di nuovo. Significa dirci, come spettatori e cittadini: “non possiamo più non vedere”.
Una forma che segue il contenuto
Il lavoro di montaggio (Marco Spoletini) e le musiche (Enzo Avitabile) non accompagnano, ma costruiscono. La narrazione non è lineare, ma stratificata, come se il film stesso cercasse una forma per raccontare chi non ha potuto avere parola. L’alternanza tra colore e bianco e nero, tra riprese domestiche e immagini teatrali, tra quotidiano e sacro, restituisce la complessità di una vita che ha attraversato l’invisibilità per diventare presenza scenica.
Distribuito da Luce Cinecittà nell’autunno 2025, il film Bobò si lega idealmente alla Giornata Mondiale della Salute Mentale (10 ottobre), diventando uno strumento culturale per riflettere, attraverso il linguaggio del cinema, su ciò che ancora resta da fare in termini di giustizia, cura, inclusione.
Bobò non è solo un documentario. È una chiamata all’ascolto. È un atto d’amore verso una figura che ha scardinato con il suo semplice essere le gerarchie del potere, della voce, della rappresentazione. Pippo Delbono non santifica il suo protagonista. Lo mette in scena per ciò che è stato: un uomo fragile, a tratti comico, profondo, disperato, libero. Un artista, forse senza volerlo. Un corpo che ha gridato nel silenzio. E noi, finalmente, possiamo ascoltarlo.
Filmografia
Bobò - La voce del silenzio
Documentario - Italia 2025 - durata 81’
Regia: Pippo Delbono
Con Pippo Delbono, Bobò
Al cinema: Uscita in Italia il 10/10/2025
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