Disappearance - La fuga di Josef Mengele, nei cinema italiani in autunno con Europictures, si apre come un film di fuga, ma si rivela presto una mappa dell’impunità. Josef Mengele, criminale nazista noto per le sue orribili “esperienze mediche” ad Auschwitz, riesce a scomparire nel nulla alla fine della Seconda guerra mondiale. Ma non si dissolve davvero: si riforma, cambia pelle, assume nuovi nomi.


Il film segue questa metamorfosi attraverso trent’anni di latitanza in Sud America, dall’Argentina peronista al Paraguay, fino alle zone rurali del Brasile. Ogni nuova tappa è un tassello del suo progetto: quello di svanire senza lasciare traccia, protetto da una rete internazionale fatta di ex nazisti, famiglie influenti, simpatizzanti e cinici opportunisti.


Il regista Kirill Serebrennikov, adattando il romanzo omonimo di Olivier Guez, costruisce una narrazione in tre capitoli, ognuno legato a un’identità assunta da Mengele, come se fosse sempre lo stesso corpo, ma con una maschera diversa. In questo senso, la trama si trasforma in un’indagine metafisica: può un uomo davvero scomparire, oppure il suo passato continua a perseguitarlo, anche nel silenzio?

August Diehl
Disappearance – La fuga di Josef Mengele (2025) August Diehl

Un’estetica del disorientamento

La regia di Serebrennikov non cerca la ricostruzione storica pedissequa, ma costruisce un ambiente visivo e sonoro che riflette la mente distorta del protagonista. Il film Disappearance – La fuga di Josef Mengele alterna il bianco e nero delle sequenze in Sud America ai flashback a colori dei momenti ad Auschwitz: una scelta che ribalta la prospettiva morale.


Per Mengele, il campo di sterminio è stato il momento del successo, della gloria, della carriera: “una vita normale”, nella sua testa. È in Sud America, invece, che lo vediamo invecchiare, mentire, temere, ossessionarsi. Le atmosfere noir si addicono perfettamente a una narrazione così ambigua: bar fumosi, case isolate, giungle soffocanti. L’uomo è sempre in fuga, ma più da se stesso che dagli altri.


Serebrennikov, noto per il suo linguaggio formale sofisticato, costruisce lunghe sequenze coreografate dove ogni gesto ha un peso. “Per me il film è come un monologo interiore - dice il regista - in cui lo spettatore deve entrare nella testa di Mengele, senza mai compatirlo, ma nemmeno rifugiarsi nel rifiuto facile”. La messa in scena diventa così uno specchio disturbante, che riflette un male non tanto lontano quanto dentro l’umano.

Un mostro con volto umano

Nel film Disappearance – La fuga di Josef Mengele, August Diehl dà corpo a Josef Mengele con una performance rigorosa e glaciale, che evita ogni caricatura. Il suo Mengele non urla, non esplode: pensa, ripete, si autoconvince. Vive in un eterno dialogo con se stesso, in cui ogni errore viene giustificato, ogni crimine rimosso.


“È un personaggio che parla ma non ascolta - spiega Diehl - è solo, anche quando è in mezzo agli altri”. L’ossessione per i gemelli, le ricerche pseudoscientifiche, l’ideologia della purezza razziale: tutto ciò riaffiora nel suo monologo interiore, come un disco rotto. Eppure, proprio questa banalità (questa logica distorta ma coerente) rende la sua figura tanto più inquietante.


In una scena chiave, Mengele rivede il figlio, ormai adulto. La tensione è insostenibile, eppure nulla esplode. Il film mostra quanto il male possa essere codificato, persino educato. È qui che la regia chiede allo spettatore uno sforzo: non rifugiarsi nella distanza, non ridurre Mengele a una creatura inumana, ma riconoscere la possibilità che un simile orrore nasca da un pensiero umano, troppo umano. Un’idea che riecheggia Hannah Arendt e la sua “banalità del male”, ma con un’inquietudine aggiuntiva: il fatto che questo male sia ancora tra noi, invisibile, sotto altri nomi.

August Diehl
Disappearance – La fuga di Josef Mengele (2025) August Diehl

Una rete di complicità

Uno degli aspetti più originali del film Disappearance – La fuga di Josef Mengele è la messa in scena delle molte figure che aiutano Mengele durante la sua fuga. Non si tratta solo di fanatici neonazisti o nostalgici del Reich. Ci sono anche funzionari corrotti, medici argentini, avvocati, perfino amici di famiglia. Alcuni agiscono per denaro, altri per calcolo politico, altri ancora per abitudine. In tal senso, il film non è la storia di un singolo mostro, ma di un sistema di complicità.


Serebrennikov insiste su questo punto: “L’inferno non è solo lui. È tutti quelli che lo hanno protetto, per codardia o per convenienza”. Mostrare il contorno sociale è fondamentale per capire la vera portata dell’impunità: Mengele è il prodotto estremo di una società che, finita la guerra, ha preferito voltarsi dall’altra parte.


Anche Olivier Guez, autore del libro, sottolinea questa dimensione: “Non è solo una fuga. È una sparizione organizzata con precisione, da un’Europa che aveva bisogno di dimenticare in fretta”. L’opera diventa, dunque, anche un’accusa storica: a chi ha taciuto, a chi ha protetto, a chi ha negato.

Una lezione morale

Disappearance – La fuga di Josef Mengele non è un film solo sul passato. Parla anche, e forse soprattutto, del presente. “Ci sono ancora oggi intellettuali che mettono in dubbio l’Olocausto”, denuncia Serebrennikov. “È per tale ragione che questo film doveva esistere”.


Girato durante il conflitto armato tra Russia e Ucraina, in un’epoca in cui le parole “nazismo” e “giustizia” vengono strumentalizzate, il lungometraggio si interroga su cosa succede dopo una guerra. Dove vanno i carnefici? Chi li protegge? Come si costruisce una nuova impunità?


Ogni domanda non ha risposte facili, e il film non finge di offrirle. Ma ci ricorda una verità che spesso dimentichiamo: il Male non muore, cambia forma. Mengele è morto annegato sotto falso nome, ma la sua eredità continua a pulsare in ogni atto di negazione, in ogni giustificazione ideologica, in ogni silenzio complice.

Autore

Redazione

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Filmografia

Disappearance – La fuga di Josef Mengele

Drammatico - Francia, Messico 2025 - durata 135’

Titolo originale: The Disappearance of Josef Mengele

Regia: Kirill Serebrennikov

Con August Diehl, Burghart Klaußner, Dana Herfurth, Maximilian Meyer-Bretschneider, Carlos Kaspar, Heinz K. Krattiger