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Vedi Napoli e poi muori

Regia di Enrico Caria vedi scheda film

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La recensione su Vedi Napoli e poi muori

di OGM
5 stelle

Nascere, crescere, vivere a Napoli, e ad un certo punto fuggirne. Per poi ritornare, e fuggire ancora. E intanto non smettere mai di pensarci su e parlarne. Male. Enrico Caria cerca nella cronaca e nelle testimonianza di strada le mille ragioni del suo disamore. La camorra è onnipresente: non c’è nessuno, dal parroco di Scampia all’autore di bestseller che manchi di ricordarlo, dicendo ciò che ha visto con i propri occhi, oppure ha scoperto indagando. Una città allo sfascio, e saldamente in mano ai bricconi: tale è il ritratto impietoso che questo documentario ci propone del capoluogo partenopeo, ormai così impoverito e pericoloso da essere inabitabile, e, naturalmente, del tutto infrequentabile per i turisti. Andare via non è giusto, però non c’è altra scelta; sembra questo l’assunto principale del film, che si rigira in una totale rassegnazione, maliziosamente condita di sarcasmo. La denuncia si riduce al canto monocorde del “non c’è più niente da fare”, un ritornello che si può, a seconda dei casi, declinare nell’accento della tristezza, dell’ironia, del disprezzo, della disperazione. C’è chi sotto sotto se la gode, chi ne soffre, chi la prende con filosofia: il quadro è dipinto con tinte grottesche, ed insiste, non senza un pizzico di sadismo, nel proporre quello che è uno spettacolo irrimediabilmente brutto, e come tale deve essere percepito dal pubblico. Desolante: è questo l’aggettivo che meglio si addice all’effetto prodotto da questa poetica denigratoria, che pare compiacersi dello sfacelo, mascherandosi a tratti dietro il volto serio del giornalismo di’inchiesta (le parole di Roberto Saviano), ma spesso lasciandosi andare alla macchietta da commedia dell’arte, in cui la brava gente recita nella parte della vittima, mentre i potenti sono mostri che ora appaiono orribili e crudeli, ora sono caricature di cui, al limite, si può anche ridere. I numerosi richiami a 17, l’opera d’esordio di Enrico Caria, non sono casuali: la saga fantascientifica dell’agente speciale Rudy Caino condivide, con Vedi Napoli e poi muori, quel piglio polemico che mira a distruggere l’immagine del nemico riducendola ad una barzelletta di cattivo gusto. La corruzione è una bestia immonda ed invincibile, che, sullo schermo, deve invadere l’intero paesaggio, divorando ogni bellezza ed ogni minimo residuo di pulizia. In questo modo lo sguardo, più che caustico, si fa putrido, partecipe in toto del  degrado in cui siamo pressantemente invitati ad infilare il naso per sentirne lo sgradevole odore. Sarebbe disonesto non riconoscere, a quest’opera, il ruolo informativo che pure, in parte, riesce a svolgere, fornendo approfondimenti sui meccanismi criminali che hanno determinato l’attuale situazione, e la stanno perpetuando, con – così si afferma – l’aperta complicità della politica e delle forze dell’ordine. Tuttavia, non si può nemmeno fare finta di non accorgersi che questa rassegna di vizi e di sventure, presentata come una serie di cartoline in chiave cinica, è frutto di uno sfogo autobiografico sul perché sono scappato.  

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