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Chi vive in quella casa?

Regia di Pete Walker vedi scheda film

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Michele Martelossi

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La recensione su Chi vive in quella casa?

di Michele Martelossi
7 stelle

Conobbi The Comeback a metà anni Ottanta, durante un passaggio televisivo domenicale, sull'onda d'urto dei britannici episodi "Hammer House of Horror" - dei quali pareva degna propagazione - e lo trovai esattamente come doveva essere: inquietante.

 

Pete Walker mi sconvolse a sufficienza con le sue trovate ma solo ora, grazie ai mezzi odierni, riesco a dare un volto a lui e una valutazione più precisa alla sua filmografia apprezzandone gli stili.

 

Tutto comincia con l'arrivo di Gail Cooper nelle Docklands, quartiere portuale di Londra.

Ivi, celato in un anonimo palazzo a prova di fanatici, si trova il super attico dove lei ed il famoso cantante Nick Cooper abitavano prima del divorzio.

La casa coniugale è ormai sfitta. I drappi bianchi che coprono il mobilio sono come lenzuola fantasmagoriche di un passato ormai perduto. La rigogliosa vegetazione della veranda è l'unico segno tangibile della vita presente. Gail è lì per raccogliere i propri effetti personali e sembra visibilmente compiaciuta di camminare tra i ricordi.

 

Il sopraggiungere di Gail nell'appartamento è un memorabile incipit cinematografico, un assolo di classe e grazia destinato a finire nel peggiore dei modi, per lasciare spazio alle note musicali successive. E tu, spettatore, subito cogli che qualcosa non funziona, che c'è qualche intruso sulla scena, come quel pericoloso falcetto poggiato sul tavolino che chiunque potrebbe brandire.

Ma cogli anche il particolare senso di raffinatezza con il quale Pete Walker riveste le sue muse femminili. Come fu per Stephanie Beacham nei film precedenti, così è qui per Holly Palance.

 

Ho amato Holly Palance in questo film.  Lei, la vera signora borghese di un tempo, della fine degli anni Settanta. Un gusto unico nell'arredare la casa, un tocco altrettanto elegante nell'ammobiliare la vita. E' ricca, è capricciosa. Ha scippato un uomo alle sue groupie, al suo agente discografico, alla sua carriera e alla sua patria contravvenendo alla volontà di tutti e moltiplicando nemici. 

Entra intera nel film, ne esce subito cadavere.

La Palance fa spesso il suo ingresso in punta di piedi in un horror, ci resta in tutto dieci minuti, lo segna indelebilmente. Ci riuscì maledettamente bene anche in "The Omen" (1976).

L'intento di Walker era forse quello di rappresentare una parabola discendente, della donna fiera e charmant che gradatamente va in decomposizione totale. Come un sogno brillante che si dissolve fino a divenire incubo. Come il successo di Nick, tutto da ricostruire, tutto da ricominciare con "un ritorno", appunto, in pompa magna per lui e per i fantasmi del passato. Come le allucinazioni che la sua mente, ancora ignara dell'omicidio, sta cominciando a sperimentare nella tenuta dove si è recato per preparare il suo prossimo disco e nella quale sente la voce di Gail, e pianti, e urla notturne. 

 

Il corpo di Gail giace abbandonato per giorni sulle scale. Nulla è rimasto del suo orgoglio e della sua acconciatura da principessa Leila. La narrazione s'interrompe di frequente per tornare da lei, insanguinata, inanimata, accompagnata dal solo suono delle sirene mercantili in lontananza, mentre il tempo si avvicenda nella vibrante città londinese che sta fuori.

Ma il suo spirito indomito sopravvive a tutto facendo capolino di tanto in tanto, fino a prendere vita nell'ultima scena quando, da una finestra, manda l'ultimo, soprannaturale saluto al consorte ormai scampato ad una vicenda da incubo.

 

Pete Walker, abile virtuosista della macchina da presa che ha sempre finanziato da sé le proprie idee, nega che le sue opere contengano messaggi subliminali e le definisce semplici "marachelle". Eppure le briciole che lascia come Pollicino sul sentiero le vedi. Capisci che ce l'ha con qualcuno, che vuole mettere alla berlina i produttori musicali senza scrupoli, l'eccesso di stupida idolatria per i cantanti, il senso di onnipotenza del divo, l'astrazione di una psichiatria pretenziosa nel razionalizzare tutto, la mistificazione giornalistica ("io non ho orecchio per la musica", dice Gail al reporter che telefona citando il rimprovero che il marito soleva farle, salvo poi smentire tutto a se stessa). 

 

Nemmeno la scelta del cast è casuale. Se Holly Palance, figlia del celeberrimo Jack, è l'elemento di rottura iniziale, il protagonista Jack Jones è un vero e famosissimo cantante americano; una specie di Bublé, all'epoca tutt'altro che decaduto. Come tutt'altro che sconosciuto era David Doyle, il familiare Bosley delle mitiche "Charlie's Angels", qui nel ruolo del produttore musicale.

 

Niente è fortuito nei film di Walker. Niente è gratuito. Tutto torna. Tutto. Come in The Comeback, a buon merito nobile e affascinante esercizio stilistico che non puoi scordare, compiuto prima che il regista lasciasse il cinema per aprirne di propri lungo tutta l'Inghilterra e dedicarsi ad un'attività probabilmente più redditizia.

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