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Guida perversa all'ideologia

Regia di Sophie Fiennes vedi scheda film

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La recensione su Guida perversa all'ideologia

di OGM
8 stelle

L’ideologia è un contenitore vuoto. È un messaggio universale, perché adattabile a qualunque contesto. È un simbolo indefinito, buono per essere piegato alle esigenze di significato più diverse. Il suo tratto fondamentale è la capacità di evocare una sensazione, e di indicare una direzione. È la freccia dei nostri desideri, che poggiano su istinti ancestrali, ma possono essere educati a concentrarsi su oggetti prestabiliti, in maniera ordinata ed uniforme. Il senso della mancanza viene manipolato per trasformarlo nella gioia di scoprire ciò che in realtà non esiste, e certamente non si vede, però viene reso credibile ed autorevole. Nel film diretto da Sophie Fiennes, il filosofo sloveno Slavoj Žižek ci propone una lunga e dettagliata lezione sul modo in cui questo potere si esercita attraverso il cinema, quello di propaganda come quello di finzione. Del suo perverso meccanismo si scorgono tracce nei luoghi più impensati, anche dove apparentemente regnano il romanticismo e la spensieratezza, in una scena cantata di Tutti insieme appassionatamente o in una sequenza a sfondo erotico di Titanic. L’ideologia inizia laddove la pulsione è interpellata per via indiretta, come in un cartellone pubblicitario che ci propone un bel paesaggio per parlarci di tutt’altro. La parola sarebbe troppo esplicita, e rischierebbe di passare attraverso il vaglio dell’intelletto. Per rivolgersi all’anima, senza intermediazioni critiche, occorre limitarsi ad un cenno muto, criptico, che attiri l’attenzione sul vero punto centrale della questione: l’obbedienza alle mode, l’assoggettamento ad un mito, la fiducia in grande altro che governa e giustifica il corso degli cose. Questo interlocutore deve utilizzare un linguaggio privo di domande, che escluda a priori la possibilità di fornire risposte elaborate razionalmente. Le immagini devono essere asserzioni di un principio che è perentorio e incontestabile solo fintanto che si sottrae ad una descrizione verbale. Sullo schermo vivono le leggende, ed anche le storie dei loro declini: dallo stalinismo agli ideali hippie, dal nazismo al cristianesimo, il collante che ha saputo trasformare la società in comunità si è sempre avvalso della forza delle icone, vincenti finché unitarie, perdenti se scisse nel dilemma o disgregate dal moltiplicarsi delle visioni individuali. La loro integrità, spesso, è stata assicurata dalla loro sconfitta, dall’evento distruttivo che ha impedito il confronto del sogno con l’evoluzione della realtà. Questo paragone risulta drammatico quando rivela all’uomo la natura alienata delle sue aspirazioni, dettate non tanto dalle sue spontanee inclinazioni, quanto dai condizionamenti delle ideologie vigenti. Il traguardo, anche se raggiunto, può deludere nel momento in cui, improvvisamente, lo si percepisce come estraneo. Questa scoperta è devastante per il singolo: è quanto accade al protagonista del film Seconds (Operazione diabolica) di John Frankenheimer. Tuttavia, quando tale presa di coscienza non si verifica, ad essere compromesso è il valore oggettivo delle scelte effettuate: l’attivista del movimento Occupy che compie razzie nei negozi di Londra tradisce platealmente la propria inconscia adesione al consumismo.  Ciò che facciamo è moralmente indipendente da ciò che sappiamo: la consapevolezza dell’errore non ci frena, il suo contrario non ci assolve. La settima arte ha saputo abilmente giocare con questo paradosso, dietro cui si nasconde il pericoloso esercizio della libertà: una facoltà che si declina molto spesso in cinismo, in quell’inebriante distacco tra il pensiero e l’azione che non solo costituisce la seducente infondatezza delle ideologie, ma si trova alla base di tutte le forme creative del male assoluto, dalle efferatezze della banda di Arancia Meccanica alle scorribande criminali dei ragazzacci di West Side Story. Il filo conduttore dei nostri secolari affanni è il rifiuto della felicità come risorsa a portata di mano, che, una volta afferrata, sottrarrebbe alla nostra vita ogni finalità. A noi piace restare prigionieri delle ombrose contraddizioni di un sistema che in parte le produce ad arte, per soggiogarci con la sua incomprensibilità, in parte le ritrova, suo malgrado, al proprio interno, come crepe costituzionali che ne preparano il tracollo. Chi non le accetta non può che suicidarsi: come Travis Bickle in Taxi Driver, o come Leonard Lawrence in  Full Metal Jacket. Il primo soccombe al fallimento della sua ribellione contro le assurdità, il secondo, invece, rimane schiacciato dal fatto di averle interiorizzate. Il confine tra il bene e il male non passa dove crediamo noi. È una linea che attraversa le nostre certezze, che smonta i nostri giudizi.  Di fronte a questa Pervert’s Guide to Ideology, che svela il carattere profondamente spezzato delle nostre illusioni, il ruolo del perverso tocca quindi a noi, spettatori del bello, del comico, del polemico, del tragico, che non ci rendiamo conto di ciò che vediamo. Siamo convinti di guardare in faccia alla realtà, mentre i nostri occhi sono invece vittime di un tranello semplificatore, che cuce insieme i lembi di una verità lacerata. Si annulla, così, la tensione tra gli opposti, che altri hanno risolto creando a loro piacimento la sintesi freudiana del nostro io. Sarà per questo che ridiamo e ci divertiamo quando, ad essere presi in giro, siamo proprio noi. 

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