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Dearest

Regia di Yasuo Furuhata vedi scheda film

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La recensione su Dearest

di OGM
8 stelle

A Eiji Kurashima sono rimaste solo due lettere. Una la riceverà tra dieci giorni, in una città molto lontana da quella in cui abita. Il mittente è sua moglie Yoko, che purtroppo non c’è più. Una malattia crudele se l’è portata via, e lui deve in qualche modo tirare avanti, con tanti ricordi da tenere vivi, un mistero da svelare ed un’importante missione da compiere. Nel luogo in cui l’aspetta l’ultima missiva del suo defunto amore, Eiji dovrà recarsi per spargere le sue ceneri in mare. Nasce così questo road movie del tempo scaduto, ovvero del tempo da recuperare: la storia di un viaggio solitario che, in realtà, è la tardiva realizzazione di una seconda luna di miele, a bordo di un’automobile che il protagonista, per l’occasione, trasforma in un piccolo camper a due posti. Eiji ha una meta precisa, però non segue un  tragitto prestabilito: volentieri si lascia portare fuori strada dalle persone incontrate lungo la via. Cede al loro fascino vagabondo, a quella poesia della deriva che l’autore giapponese Santoka Taneda amava celebrare nei suoi haiku. Intanto anche il suo pensiero si muove, un po’ a caso, attraverso il passato, riportando alla mente momenti in cui non v’era nulla di cui andare in cerca, perché tutto il desiderabile era a portata di mano. Eiji aveva accanto a sé Yoko, e nulla gli poteva mancare. Il paesaggio, con lei, era perfetto, degno di una cartolina illustrata. Adesso Eiji ritrova quei colori solo nel sogno, quando qualcosa riesce a rapirlo dalla tristezza del presente per mostrargli altri mondi. Da qualche parte esistono universi in cui la sofferenza è bella e ha un senso. Su questa terra se ne scorgono solo tracce labili e indirette, impresse sulla gente di passaggio. Soprattutto su quella segnata dalla perdita, e magari prigioniera dell’errore: quelli che vedono solo una parte dell’orizzonte, perché il resto è coperto dal buio, e dà un’illusione di infinito. Sono confinati in una limitatezza che invoglia a guardare oltre: al di là dell’evidenza insopportabile di un tradimento, di una solitudine che rende inquieti, di un’incertezza che tiene in ostaggio il futuro, di un’assenza di prospettive che fa mancare l’aria. Tutti sono in fuga dall’oppressione di un destino che sembra già scritto, ma forse offre ancora qualche fugace spiraglio. L’esistenza deve proseguire il suo corso, a costo di violare le regole e sbagliare. Di fronte al dolore l’unica risposta scorretta è fermarsi, farsi bloccare dall’incapacità di capire e dal rifiuto di cambiare le cose. Il principio del divenire è un moto perpetuo, benché imperfetto. Il meccanismo zoppica e sbanda, e a volte si inceppa, rimanendo catturato nella morsa della nostalgia. Procede altalenante e discontinuo, come questo racconto, che forse indugia troppo sulla banalità del reale, o forse torna troppo spesso alla rievocazione della felicità perduta. Eppure funziona, convincente, profondo e sincero come il suono perentorio di un addio, che toglie ogni speranza, eppure continua a riecheggiare disordinatamente nell’anima, prima di placarsi per sempre.

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