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Il monaco

Regia di Adonis Kyrou vedi scheda film

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La recensione su Il monaco

di sasso67
6 stelle

Nella difficoltà di base di trarre un film da un testo letterario, può capitare di trovarsi di fronte a libri particolarmente ostici, vuoi per la loro natura (viene alla mente l'Ulisse di Joyce, che pure una sua  dignitosa versione cinematografica l'ha trovata) o per la mole (si può pensare al complesso della Recherche proustiana), vuoi per l'argomento o per il ruolo da loro assunto nel panorama letterario.

Il monaco (1796) di Matthew Gregory Lewis è uno dei testi capitali del genere denominato "romanzo gotico", che ebbe origine e particolare fortuna in Gran Bretagna nella seconda metà del Settecento. Tra le caratteristiche del genere, c'era la ricerca dello spavento nei confronti del lettore, anche ricorrendo all'intervento del soprannaturale (possessione demoniaca o presenza di spettri); vi erano, poi, l'ambientazione in uno dei paesi sudeuropei di tradizione cattolica (particolarmente l'Italia e la Spagna) e, intrecciato con quest'ultimo, il motivo della polemica antipapista.

Il rischio di quel tipo di letteratura, spesso affrontato dagli autori con sprezzo del ridicolo, era di cadere nella baracconata e, a maggior ragione guardandolo con gli occhi di oggi, nel grottesco involontario e nel buffonesco. Basti pensare, in proposito, al gran finale di quello che è considerato il capostipite del romanzo gotico, Il castello di Otranto (1764) di Horace Walpole, nel quale compare addirittura, quasi deus ex machina, un gigantesco San Nicola dall'alto dei cieli.

Dal punto di vista ideologico, Il monaco di Lewis costituiva un testo pressoché perfetto per esercitarsi in un saggio di polemica anticlericale (o comunque contro il cattolicesimo nella sua forma costituita), soprattutto per il gruppetto dei surrealisti capeggiato da Luis Buñuel e di cui anche il regista Ado Kyrou faceva parte. Proprio Buñuel è tra gli sceneggiatori (insieme all'inseparabile Jean-Claude Carrière) e forse, nelle intenzioni, avrebbe dovuto dirigere il film. Il quale avrebbe avuto indubbiamente ben altro spessore e, alla fine, migliore riuscita.

Nelle mani di Kyrou, il testo del "Monk" Lewis si trasforma in uno dei tanti film scabrosi, d'ambientazione conventuale, che andavano per la maggiore negli anni Settanta. Si perde il contesto di perbenismo, ipocrisia, terrore del peccato e dell'inferno, ma anche dei tormenti terreni che l'Inquisizione spagnola minacciava con la sua sola presenza e dispensava senza avarizia. Sarebbe servito anche affidare la parte del protagonista ad un attore più carismatico di Franco Nero (che aveva già lavorato con Buñuel per Tristana), mentre si rivelano inefficaci la trovata di inserie un nobile (il Duca di Talamur, che non mi ricordo nel romanzo) pedofilo e cannibale e lo sberleffo finale di portare Ambrosio, anziché a morire in un crepaccio, con la certezza della dannazione eterna (come avveniva nel libro), al soglio pontificio.

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