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Colour Me Kubrick: A True...ish Story

Regia di Brian W. Cook vedi scheda film

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La recensione su Colour Me Kubrick: A True...ish Story

di OGM
6 stelle

John Malkovich è Stanley Kubrick. Un po’ per gioco, un po’ per necessità. È un impostore che del grande regista impersona una versione eccentrica, stralunata, femminea ed eternamente sopra le righe. Una macchietta improbabile e grottesca, che pure riesce a far cadere tanti nel tranello. Forse perché quella figura così stramba rappresenta la proiezione dell’Arte nell’immaginario collettivo,  che dà spettacolo semplicemente mescolando il proprio carisma surreale alla normalità della gente qualunque. In questo modo riesce a farsi leggenda, diventando l’icona di una bizzarria inarrivabile per i comuni mortali, che da essa si lasciano  incantare all’istante. A sedurli bastano le magiche visioni che quel mostro sacro è in grado di evocare: i misteri cosmici di 2001 Odissea nello spazio, la furia orrorifica di Shining, la tragedia romanzesca di Barry Lyndon. La grandezza non può apparire come  tale se non si circonda di un’aura di ermetica esclusività. Il finto Stanley Kubrick lo dimostra risultando tanto più convincente quanto più spinge sul pedale della millanteria, dell’assurdo che si cala miracolosamente nella realtà. La maschera e il mito sono gli ingredienti delle favole popolari e del teatro classico. Sono elementi che anche la commedia moderna ha fatto propri, perché sono le versioni drammaturgiche di quella pratica, antica quanto l’uomo, che è da sempre la fonte di ogni male, di ogni errore, e di ogni paradosso, e si chiama menzogna. È portatrice di sventura ed incomprensioni, e per questo non necessariamente deve fare ridere.  Il personaggio interpretato da John Malkovich, lungi dall’essere comico, è invece solo genialmente stonato, fuori dalle convenzioni estetiche ma inserito più che bene nelle faccende del mondo. Goffo ma furbo, svagato nei modi ma con la mente sveglia, è il piccolo demonio che riesce ad impadronirsi delle anime di coloro che nutrono ingenui sogni di gloria. Quei malcapitati sono disposti a vendere tutto, a cominciare dal buon senso, a colui che, paludandosi di un nome altisonante,  si presenta loro come il profeta di un miraggio.   Quando speranza e faciloneria si uniscono, la miscela prodotta è assai amara.  Ci vanno di mezzo le vanità e le illusioni, che si lasciano pateticamente sbeffeggiare da quello che, agli occhi della società, è di per sé un miserevole pagliaccio: un uomo solo, squattrinato, senza arte né parte, e schiavo di vizi che può coltivare solo truffando il prossimo senza pietà. L’imbroglione Alan Conway ruba, alle sue vittime, oltre ai soldi e alla fiducia, anche la dignità, riducendole a tante brutte copie di se stesso: un esercito di poveri disgraziati che un giorno hanno osato  credere che la fortuna potesse davvero bussare alla loro porta, e in tal modo si sono resi ridicoli, tanto da doversi andare a nascondere. Esattamente come quell’individuo costretto a recitare, all’infinito, una parte con cui non ha nulla a che vedere, ed è solo il costume di carnevale indossato per camuffare la sua infelicità. Se si affina lo sguardo, dietro la piatta ripetitività di quella messinscena si scorge tanta tristezza. La regia di Brian Cook la fa trapelare, anche se forse il suo scopo principale era farci gustare le prodezze satireggianti di un insolito John Malkovich, squisitamente ironico e contegnosamente beffardo. Un traguardo perfettamente centrato dall’attore, ma che, purtroppo, superata l’iniziale sorpresa, si stabilizza su un tono uniformemente caricaturale. Il film pretende di continuare a sparare sempre le stesse cartucce, e così il rumore dei colpi si fa via via più sordo, finendo, alla lunga, per assomigliare ad un noioso ronzio.

 

Colour Me Kubrick è basato su una storia vera, avvenuta alla fine degli anni novanta. Il personaggio di Alan Conway è realmente esistito, ed il suo caso attrasse l’attenzione di Stanley Kubrick mentre questi era impegnato nelle riprese di Eyes Wide Shut. Il film è il frutto della collaborazione tra due suoi assistenti: Antony Frewin, autore della sceneggiatura e, Brian Cook, al suo esordio da regista.   

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