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L'Oiseau

Regia di Yves Caumon vedi scheda film

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La recensione su L'Oiseau

di OGM
8 stelle

Gli altri vivono, ma lei no. Il rumore del mondo avvolge il suo silenzio, circondandolo di un suono fastidioso, che lei vorrebbe tanto poter chiudere fuori dalla porta. In mezzo a quel frastuono, sarebbe confortante riuscire ad isolare una singola, flebile voce amica. Anche un semplice battito d’ali, percepito al di là di una parete del suo appartamento, basta, ad Anne, per ritrovare una presenza che riempia i suoi giorni,  e le dia un motivo per andare avanti. Da qualche tempo la sua esistenza si è svuotata di tutto: non esiste più il suo matrimonio, né la sua casa, né suo figlio. Il suo bambino è morto, e suo marito ora ha un’altra compagna, che sta per renderlo nuovamente padre. A lei, invece, non è rimasto niente, a parte quel lavoro di inserviente in un ristorante, che non le procura nessuna soddisfazione,  né le fornisce il sollievo della compagnia dei colleghi. Anzi, il contrasto con la loro superficiale spensieratezza di gente qualunque, che non è minimamente in grado di capirla, non fa che rendere ancora più penosa la sua condizione di donna abbandonata. In nulla la consola la constatazione che gli uomini, nonostante la sua aria dimessa, continuino a considerarla attraente, a desiderarla, a corteggiarla. Nemmeno le solitarie passioni (il cinema, le lingue straniere) a cui si dedica con impegno e passione, sono utili a vincere la noia ed il senso di inutilità. Anne, pur di liberarsi da quella situazione di stallo, prova allora  a sfidare il destino, offrendosi, una sera, ad un perfetto sconosciuto. Ma quel tentativo, per quanto audace, si chiude quasi subito con un sonoro fallimento. La vita sembra davvero volerla respingere, persino quando la donna decide di correre incontro ad un pericolo certo, con un azzardo che, a rigor di logica,  non potrebbe restare senza conseguenze. Intanto, la salvezza giunge da una direzione inaspettata: si intrufola, improvvisamente, nella sua intimità, senza essere stata chiamata. È un piccolo essere che bussa, dall’altra parte del muro. È venuto dal cielo ed è sceso attraverso il camino. Anne impugna un martello e apre un varco, pur di vederlo e prenderlo con sé. Chiude la finestra perché non scappi, compra un fischietto per chiamarlo, si addolora quando, rincasando, scopre di averlo perso. Il suo esserci o non esserci è, finalmente, un’incognita che si ripropone ogni sera e ogni mattina, creando speranza e timore,  movimentando le emozioni, facendo la differenza. In questa storia, il diversivo è un sussurro; è un alito, appena percettibile, che interviene a soffiare via la polvere dei vecchi ricordi che non vogliono andarsene. Prima del suo arrivo, l’aria è totalmente ferma, ancorata ad una routine senza tensione, ad un tempo che trascorre sempre uguale, senza che il ticchettio delle parole ne scandisca il ritmo. Anne non si accorge del passare delle ore, per lei la sera non rappresenta, come per altri, il momento in cui la fatica e la schiavitù finiscono ed iniziano la libertà, il divertimento, il gusto di ridere e di scherzare con gli amici. Anne è colei per la quale nulla può mai cambiare. L’obiettivo la segue insistentemente, da vicino, ma, in ogni istante, ed in ogni angolazione, la coglie sempre indifferente alle dimostrazioni d’interesse, a  quelle della macchina da presa come a quelle di Raphael, il giovane chef che la tempesta di profferte amorose. L’inconsolabilità diventa fissità, che la pesantezza di un approccio troppo esplicito e materiale può soltanto aggravare. La cura risiede nella leggerezza. Come quella che consente ad una tortora di alzarsi in volo.

Cosa cambierei

Peccato per quel finale, un po' troppo scontato.

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