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Gli assassini sono tra noi

Regia di Wolfgang Staudte vedi scheda film

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La recensione su Gli assassini sono tra noi

di Baliverna
8 stelle

E' un dolente ritratto dell'immediato dopoguerra nella Berlino disastrata dai bombardamenti, ridotta a poco più di un cumulo di rovine. Anche le persone sono profondamente segnate dalla sofferenza, fisica e morale. Molti hanno perso i loro congiunti, qualcuno non ne sa niente, e qualcun'altro ancora torna a casa quando chi l'aspettava è appena trapassato. In questo scenario di sofferenza e di morte, però, riescono a formarsi anche nuovi rapporti umani che riaprono la speranza per il futuro.
Il film tocca in particolare un problema che non fu solo della Germania, ma di tutti i paesi dove era passato il conflitto, cioè quella dei criminali di guerra a piede libero, magari con posizioni di rispetto nella nuova società. In molti casi, come si è visto anche in diversi documentari, queste persone erano veramente insospettabili, e nessuno avrebbe detto che avessero le mani lorde di sangue, se non coloro che li avevano visti all'opera. Il personaggio in questione nel film, è un allegro padre di famiglia, affabile e loquace, ed è proprietario di una fabbrica. L'attore (Arno Paulsen) dà vita a un uomo che mai si sarebbe detto essere uno spietato firmatario di ordini di esecuzione per civili innocenti. Il fatto non è da attribuire tanto alla sua capacità di simulazione, perché sembra proprio che il suo comportamento sia spontaneo e disinvolto. La causa della sua naturalezza è forse l'assoluta morte della coscienza, perché l'ha soffocata e uccisa molto tempo prima. Ciò che ha fatto gli sembra pienamente giustificato dalla guerra in corso, e si spaventa terribilmente solo perché qualcuno gli ha puntato una rivoltella contro per vendicarsi. E il problema della vendetta privata è l'altro tema toccato dal film. Il messaggio è che, nonostante tutto, essa non ha senso, fatto che mi trova d'accordo. Altro è il fatto che la giustizia deve comunque poi seguire il suo corso.
Staudte fa uso di diverse inquadrature sghembe e ombre lunghe, che contribuiscono a costruire l'atmosfera di dolore e disorientamento. Al suo film contribuiscono non poco le interpretazioni di Paulsen (il criminale di guerra), e l'intensa e bella Hildegard Knef. Il finale tuttavia cede alla retorica, e stona un po' rispetto al resto dell'opera. Infatti fu imposto dalle forze di occupazione sovietica, che di lì a poco avrebbero fondato la DDR. Il regista avvrebbe ivi continuato la sua attività, adeguandosi purtroppo agli intenti propagandistici che venivano imposti al cinema. Questo film, invece, è sincero e umano; riesce a trattare certe questioni scottanti senza inquadramenti ideologici.

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