Regia di Mohsen Makhmalbaf vedi scheda film
Ne avevamo il sospetto ma adesso è ufficiale: Mohsen Makhmalbaf si è bevuto il cervello. Viaggio in India racconta la storia di una coppia iraniana - moderna, colta, occidentalizzata - spersa in un percorso metaforico-simbolico nella cultura indiana. I due incontrano tassisti animalisti, presunti santoni, prostitute modernizzate e frullano questi contatti fugaci in una ricerca intellettuale di rara arroganza. Il film è verboso, insostenibile, presuntuoso, perso in un vago esotismo estetizzante e banale fino a sfondare i confini del ridicolo. Lo sguardo dell'autore, che vorrebbe essere antropologico, è di assoluta banalità e il film diviene presto un susseguirsi di scenette - ognuna con la sua superficialissima morale - che grida vendetta. La patina intellettuale del film è muffita, stanca, cerebrale, priva della minima ironia. Makhmalbaf ripercorre le strade, già insopportabili, del suo precedente Sesso e filosofia con ancora maggiore inutilità, analizzando i rapporti di coppia come in un trattatello ignorante di psicologia alla moda. I dialoghi sono ridicoli e la regia è ostentatamente alla ricerca dell'inquadratura a effetto: il risultato è sconcertante e lo schermo, che si vorrebbe strappare a morsi, resta integro solo per la buona educazione dello spettatore.
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