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Il venditore di morte

Regia di Enzo Gicca Palli vedi scheda film

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La recensione su Il venditore di morte

di scapigliato
8 stelle

Con Gianni Garko il buono; Klaus Kinski e Giancarlo Prete i cattivi.
Tra i tanti Ringo, Django e Sartana c’è anche un certo Silver, detective del West, impersonato nei suoi primi due episodi da Peter Lee Lawrence (“Killer Calibro 22” e “Killer Adiòs”) e da Gianni Garko nel terzo film della serie. A detta del suo ultimo interprete Silver era “uno Sherlock Holmes con gli speroni”. Infatti la trama è prettamente gialla, anche se arricchitta dai moduli western come sparatorie, incursioni nel saloon, linciaggi, cavalcate e così via. Un mystery-western che va ad aggiungersi alle diverse variazioni del e nel genere italiano e che è riuscito benissimo. Dapprima annovera un cast interessante dove tra i due grandi volti di Gianni Garko e di Klaus Kinski si ritagliano belle caratterizzazioni anche Luciano Catenacci e Luciano Pigozzi, oltre quel Giancarlo Prete che impersona l’invasato reverendo del paese. In più, riuscitissima è stata la regia che ha pregiato il film delle pose “a scacchi” di Klaus Kinski e di un côté e un’iconografia eccellenti, come l’ufficio del becchino cinese. Tante idee e buone, i bambini che giocano con la bara e la forca preparata e incombente sulla finestra di Kinski presagiscono solo morte e la sua sterile accettazione, quasi fosse un gioco. Anche i vari inseguimenti all’assassino, che si susseguono sempre per le stesse vie e negli stessi luoghi, non sono ripetitvi, ma indicano la circolarità, la ripetitività del fatto di sangue, e segnano anche la claustrofobia dell’indagine circoscrivendo anche in termini visivi sia il raggio d’azione del detective Garko sia la suspence per lo spettatore. Ha una buona cadenza il film di Gicca Palli, fin dalle prime battute, anche se il delitto della povera messicana ha qualche inciampo nel montaggio. Una curiosità del film sono alcuni fotogrammi ritrovati dai tipi di “Nocturno” che vedono il cascatore Pietro Torrisi protagonista di una scena pornografica destinata alla versione estera.
Ma se il film è importante e merita una valutazione attenta è anche dovuto all’impietoso disegno che fa dei cittadini illustri, non meno spregievoli di quelli del paesino allucinato di “Se Sei Vivo Spara!”. Morigerati, moralizzatori, classisti, ipocriti, falsi e clientelari, gli uomini di chiesa e di giustizia ci escono con le ossa rotte da questa pellicola cult. Fin da subito è così, e i dialoghi calcano la mano e puntano il dito su una classe cittadina arrogante nella sua imperfezione. Donne austere che condannano il lavoro delle prostitute, e gli fanno da coro sia il prete ambiguo che i loro rispettabili mariti che a puttane però ci vanno (prete compreso). La giustizia è uno smacco della sua palesata perfezione: il processo è una farsa irritante che allo spetttore fa venire voglia di prendere a calci in culo giudice, avvocato dell’accusa, giuria e astanti moralisti. Il film oggi, tra le ingerenze vaticane (badate: “vaticane” non “cattoliche”) e l’agiografia televisiva di poliziotti e magistrati, in Italia non si potrebbe più fare. Lo bloccherebbero sul nascere. Il politicamente corretto che inquina ogni giudizio critico verso le nostre istituzioni avrebbe arenato anche solo l’idea di portarlo al cinema, segnando irrimediabilmente la libertà di critica. Su questo aspetto il film di Gicca Palli ricorda “Il Mucchio Selvaggio” di Peckinpah dove all’inizio vediamo una lega di buonisti moralizzatori che condanna alcol e quant’altro, accecati ed invasati come sono dalla loro autorepressione. Tra l’altro i bambini che giocano con la bara, ricordano quelli di Peckinpah che giocano ad uccidere lo scorpione. Dice bene lo stesso Garko nei panni del detective Silver che giustizia e morale non si sposano bene, e che “la morale non è mai giusta, e la giustizia non è mai morale”.

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