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Party selvaggio

Regia di James Ivory vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Party selvaggio

di millertropico
6 stelle

E’ difficile da giudicare questo film del 1975 di un giovane e insolito James Ivory, massacrato come pochi altri prima  dalla produzione (l’American International Pictures) che intervenne così pesantemente sul girato originale in fase di montaggio, da lasciare praticamente davvero inalterate rispetto al pensiero del regista, soltanto tre scene delle più di sessanta che compongono la pellicola, e poi “ricensurato” nuovamente e rimontato in maniera ancora più drastica  snaturandolo definitivamente, dalla NBC che lo aveva comprato “con licenza di modifica” per poterlo presentare in Tv. Così tanto “snaturato” insomma, che quando qualcuno incontrando Ivory gli diceva di averlo visto in televisione, il regista rispondeva sconfortato e laconico: “Ah si? Mi dispiace davvero”.

Il film che è circolato qui in Italia, della durata di 95’(che è poi quello che anche io ho visto), credo che sia esente dalle ferite inferte dalla NBC, e che si limiti quindi ai già drastici mutamenti imposti in origine dalla produzione, ma si presenta comunque ugualmente sconnesso e frammentato con evidenti squilibri strutturali e narrativi difficilmente imputabili al regista, che anche nelle ultime deludenti prove di una inesorabile e progressiva decadenza, ha però sempre mantenuto una controllata preziosità formale dell’insieme.

Ispirato alle vicende giudiziarie di Roscoe Fatty Arbuckle (una vera e propria terribile tragedia “umana” intrisa di fortissime connotazioni che implicarono la presenza di ipotetiche “perversioni sessuali”) tende soprattutto a ricreare il clima frenetico di un’epoca come quella, che anche cinematograficamente parlando, potrebbe essere definita dei  ruggenti e irripetibili anni ‘20.

Fatty (1887-1933) era il grassone che si vede in moltissime comiche di Chaplin e di Buster Keaton: un tipo in gamba “che poteva tirare due torte alla volta in due diverse direzioni” stimato nell’ambiente cinematografico e molto amato dal pubblico.

La sua carriera finì però bruscamente nel 1921, quando un’attricetta morì durante un party  organizzato dall’attore in un albergo di San Francisco (si suppose per essere stata “stuprata “ dallo stesso attore con una grossa bottiglia al termine di una folle  notte di gin e di peccato, come si mormorava in  giro).

Pur assolto dalla giustizia, Fatty  per questo accadimento drammatico mai perdonatogli, fu completamente bandito dagli schermi e morì ancora giovane schiacciato dalla scomoda eco delle sue vicende personali.

Il film di Ivory, pur tenendo conto di questi accadimenti,  si rifà più direttamente al poema narrativo di Joseph Moncure March, e sposta infatti più avanti nel tempo la storia e i fatti (dal 1921 al 1929) passando così dall’epoca del muto a quella del sonoro, cambiando ovviamente anche nomi e connotazioni, pur lasciando chiaramente identificabili le fonti.

Qui si racconta infatti di un ricevimento organizzato dal comico Jolly Grimm, attore-regista-produttore sul viale del tramonto, per presentare e tentare di lanciare  il suo ultimo disastroso film realizzato ancora “alla vecchia maniera del muto”, e quindi ormai scarsamente appetibile. Ma i produttori latitano, la gente passa e va senza fermarsi e anche gli ospiti più in vista che erano comunque arrivati, finiscono per disertare,  per concludere meglio e più appropriatamente la serata in casa di Mary Pickford, che aveva a sua volta organizzato una festa proprio quella sera.  La proiezione della pellicola non raggiungerà quindi gli esiti sperati, e l’occasione mancata scatenerà nell’uomo una disperazione fortemente distruttiva accompagnata da una serie sempre più perversa di orgiastiche ammucchiate che vedranno impegnata in quella frenesia ossessiva di sesso scatenato, la variegata fauna del sottobosco  della Hollywood di quel periodo. Al culmine di una di queste orge, il comico scatenerà delusione malmenando, malamente la sua compagna, che a causa di ciò, finirà per tradirlo “ipso fatto” con un giovane divo di belle speranze,  trascinando di conseguenza il tutto verso una inevitabile conclusione di sangue.

Le tragedie di Hollywood-Babilonia, rivivono dunque tutte in questo film dramamticamente cupo, dove si condannano nuovamente, come in tanto cinema americano di quegli anni, i riti crudeli del mondo della celluloide.

Il massacro perpetrato, lascia comunque intravedere solo pallidi brandelli di quello che era il progetto originale, sufficienti solo a farci percepire – in mezzo a molte lacune - un Ivory abbastanza insolito rispetto a  quello che avremo conosciuto in seguito, ugualmente elegante e levigato, ma molto più sanguigno.

E’soprattutto il montaggio ad essere disastroso però, così “dissennato” da impedire di andare comunque oltre la sufficienza nella valutazione complessiva di ciò che ci è stato permesso di vedere, poiché la pellicola risulta a tratti addirittura un po’ tediosa e male articolata (o peggio ancora fortemente “scompensata”) per responsabilità oggettive evidentemente  non attribuibili al suo autore (e il beneficio del dubbio è in questi casi opportuno e necessario.)

Sarebbe interessante, per permetterci di poter esprimere un giudizio più completo e definitivo, che qualcuno ci facesse arrivare per lo meno la copia di 107’ minuti “ricostruita” a posteriori dal regista che si è potuto concedere il lusso di riacquistare i diritti dell’opera per tentare di salvare il salvabile con ciò che ara rimasto, ma credo che considerando come stanno andando le cose in giro, questa sia purtroppo una speranza vana e rappresenti un inesaudibile desiderio

Ottime le prove degli attori: il flaccido corpo di Jame Coco a ricordare i tratti di Fatty, l’opulenta bellezza di Raquel Welch, qui al massimo dello splendore nei panni dell’attricetta , e Perry King nelle vesti dell’amante-attore.

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