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I ragazzi del Max's bar

Regia di Richard Donner vedi scheda film

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John_Nada1975

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I ragazzi del Max's bar

di John_Nada1975
7 stelle

Ecco qui un bar come non esistono in Italia, il Max's Bar del titolo, nel quale ricostruirsi la vita dopo un volo da dieci piani da un palazzo, e persino da fallito quindi in un suicidio, e stabilire, intessere da subito tante amicizie come appunto solo nei film, dalla diversa età di ognuno degli avventori, accomunati da vari handicap fisici e/o di vita e condizione. 

Piccolo progetto personale e corale da sempre sottovalutato e dimenticato, realizzato da Richard Donner sorprendentemente dopo l'enorme, immenso credito commerciale e produttivo appena guadagnato con tre successi clamorosi in buona fila: "Il Presagio-The Omen" nel 1976, "Superman" e "Superman II" nel 1979 e 1980.

Appena sollevato dal set di quest'ultimo secondo le note traversie produttive, egli si cimentò con questo racconto di atmosfera e amicizia, bene ambientato e con gusto unico in quel di Oakland

Ma soprattutto recitato molto bene da tutti, in particolare da John Savage/Roary appena reduce da "Il Cacciatore", veramente eccellente anche quando in evidente overacting, nella parte del protagonista ex suicida, rimasto menomato alle gambe. Studiato e appropriato in ogni sua gestualità e movimento, resi come un poco scoordinati dalle conseguenze del suo terribile volo, e bravissimo nel gestire la fragilità e consapevolezza di essere da tutti sempre stato strumentalizzato nella vita, del personaggio. 

Molto dell'accattivante confezione stilistica del film va accreditato alla fotografia calda e morbida, accogliente e calorosa di un nome tutelare della ddf come Laszlo Kovacs, oltre che alla colonna sonora veramente bella, malinconica, in perfetta sintonia con lo spirito di stoica ironia e accettazione del film, di un maestro quale John Barry

Bert Remsen eccezionale nella parte del giocatore di carte e ogni altra cosa, cieco e ludopatico come direbbero oggi, dalle fulminanti battute sempre in bocca. 

Dai toni abbastanza sinceri seppure facilitati e abbelliti nei suoi risvolti come nella vita non sono nè potrebbero mai essere, tipici di ciò che è la vita secondo la "macchina cinema", è comunque un film spesso toccante e commovente nei suoi efficaci affondi emotivi, grazie come detto alla bravura di ognuno dei suoi interpreti, pure negli snodi meno credibili, come quello di Harold Sylvester giocatore professionistico NBA

che finanzia l'operazione al ginocchio che cambierà la sua vita, a David Morse. Così come pure il trovare l'amore tra mille paure e giustificate diffidenze del protagonista Roary, per la cameriera del bar interpretata da Diana Scarwid, che guadagnerà per il suo ruolo l'unica candidatura all'Oscar del film, come Migliore non protagonista. Notevole e destinata a tornare nel finale, l'apparizione di Tony Burton nella parte del pappone che si appropria violentemente e per la sua dipendenza della traviata ragazza tossica e che batte il marciapiede per la dose, di Morse. In una piccola parte tra gli avventori del bar si riconosce anche un giovane Pepe Serna. A suo tempo nei primi anni '80 fu uno dei titoli perlomeno di riferimento nell'utilizzo della musica al cinema, con una ricca colonna sonora anche di canzoni famose, tra cui mirabilmente utilizzata, "I Can't Tell Why" degli Eagles. Da antologia l'incipit suicidario, con apparizione dello stesso Donner passante riflesso nei vetri dell'ambulanza che se ne và, e i titoli di coda con la fotografia in bianco e nero di tutta la troupe tecnica e degli attori, davanti al Max's bar. Lasciandoci già con un senso di nostalgia per ciò a cui abbiamo assistito per 110 minuti, e ai suoi personaggi che con i loro dialoghi(il libro omonimo era buono, ma si vede in tal senso la mano felice di Barry Levinson e Valerie Curtin alla sceneggiatura, le buone pagine di cameratesca descrizione dell'amicizia nel senso piu vero e reale si sprecano) e le loro felici battute, in più di una occasione sono stati capaci di toccare il cuore dello spettatore. 

 

John Nada

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