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Adagio

Regia di Stefano Sollima vedi scheda film

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La recensione su Adagio

di diomede917
7 stelle

CIAK MI GIRA LE CRITICHE DI DIOMEDE917: ADAGIO Adagio: Un movimento musicale molto calmo, intermedio tra l’andante e il largo. È questo il ritmo narrativo che sceglie Stefano Sollima per il suo ultimo film. Guardare Adagio è una lunga discesa agli inferi. Parte lenta, quasi ipnotica tra feste in stile Mucca Assassina e corpi bolsi e decrepiti che si aggirano e si rincorrono lungo le due ore di film. Per poi esplodere un’esplosione di suoni e sentimenti fino all’inevitabile finale. Nei suoi film per il cinema, Stefano Sollima ha sempre rappresentato una Roma distopica ad un passo dall’Apocalisse come espiazione per i propri peccati. In A.C.A.B. i celerini si ritrovano insieme ad accettare il proprio destino in piazza Diaz (proprio come quella maledetta scuola) accerchiati da degli ultras inferociti come degli zombie post virus, Suburra è ambientato durante il diluvio universale e i rappresentanti di quella Roma corrotta pagheranno tutto davanti al Giudizio divino. Adagio chiude questa “Trilogia Criminale” in una Roma che ricorda quella di Virzì in Siccità. Roma brucia ma non per colpa di Nerone ma dei numerosi incendi che colpiscono le periferie, dal cielo piove cenere, gli uccelli migrano al contrario come presagio di morte e il ritmo della vita viene dettato dai numerosi blackout che colpiscono la città. Blackout durante i quali persone col l’Alzheimer risolvono il cubo di Rubik e gente senza vista sparano meglio di un cecchino a Sarajevo. Stefano Sollima fa tesoro della sua esperienza americana, soprattutto quella di Soldado il bellissimo sequel di Sicario. Adagio è un western metropolitano che ricorda quelli brutti, sporchi e cattivi di Sam Peckinpah e che omaggia con grande maestria il De Palma di Carlito’s Way e il Micheal Mann di Collateral. È decisamente il suo film più autoriale e sentito della sua filmografia, quello della svolta che lo fa entrare nell’olimpo di quelli bravi come suo padre. Adagio è un film crepuscolare e pessimista che ha come fulcro la fine e la distruzione del maschilismo tossico, ma è soprattutto un film di padri e figli. Di un amore che è combattuto tra i dolori del cuore e la durezza dell’anima. Protagonista è Manuel, un ragazzo come tanti che per pagarsi una vita e oggetti costosi è disposto anche a fare bocchini nei parchi come un marchettaro qualsiasi. Incastrato da dei carabinieri corrotti si troverà in un gioco più grande di lui e dovrà fornire foto e immagini di politico pedofilo durante una festa estrema. Ma all’ultimo il ragazzo si ritira, innescando un inevitabile effetto domino di morte. I carabinieri lo cercano per tutta la città ignari che il ragazzo sia il figlio di un pezzo grosso di un ex membro della Banda della Magliana, Daytona, ormai col cervello andato e che al suo fianco interverranno altri due membri in fase di decomposizione: il cieco PolNiuman e il malato terminale Cammello. Com’è ho detto in precedenza, la caccia all’uomo è messa in secondo piano (esaltata nel bellissimo e angosciante finale) per evidenziare l’umanità dell’aspetto genitoriale. Manuel ha paura di aver deluso la mascolinità del padre con una scelta di vita molto discutibile per arrivare a fine mese, ma il cervello di Daytona è lucido abbastanza per far di tutto pur di salvare il figlio dall’onta del ricatto. Il Corrotto Vasco tra una pallottola in pancia e un omicidio feroce è sempre in stretto contatto amorevole con i figli che sono soli a casa. Il Cammello è dilaniato dal dolore per la perdita del figlio (parzialmente causata dallo stesso Daytona) che nonostante la voglia di vendicarsi contro il suo ex socio decide di proteggere ed evitare un destino mortale a quel ragazzo che ricorda tanto il figlio perduto. In Adagio le donne non esistono o comunque hanno un ruolo estremamente marginale. O sono invisibili con avvocati avvoltoi a seguito, o sono morte e rimangono un ricordo indelebile in un braccialetto, oppure devono assistere passivamente al proprio destino di vedere morire i propri uomini. Stefano Sollima lavora molto sui corpi deformando tutto il cast a disposizione. Adriano Giannini (Vasco il carabiniere corrotto) è palestrato con la panza ma soprattutto senza i suoi rassicuranti occhi azzurri sostituita da occhi neri come uno squalo prima di azzannare la sua preda. Toni Servillo è un Daytona sfatto, sporco e andato di cervello che lancia ciabatte ai piccioni per salvare loro la vita ma non esita a cacciare un coltello in gola a chi osa minacciare la propria famiglia come un Keyser Söze romano. Valerio Mastandrea è un PolNiuman romantico e decadente ma soprattutto abbiamo un Pierfrancesco Favino in stato di grazia che dilania il suo corpo trasformandolo in un personaggio che sembra “La Cosa” dei Fantastici 4 uscita da Sin City. Dallo schermo fuori esce tutta la puzza di chemioterapia che traspare dal suo sudore e tutto il dolore che solo la morfina può calmare. Scordatevi tutte le puntate di Romanzo Criminale che avete visto, Adagio è tutta altra cosa. È un film che parte lento, che va per sprazzi fino ad arrivare all’esplosione emotiva finale. Tutto il cast è composto da morti che camminano, che proseguono lenti, affaticati e appesantiti dalla vita. Adagio è un film pessimista che segna la fine di un’epoca, ma che al tempo stesso lancia un flebile messaggio di speranza che vede coinvolte le generazioni future. E nonostante il TUTTO IL RESTO È NOIA finale che accompagna i titoli di coda come una colonna sonora di un Roma che fu, il film non annoia affatto consapevoli che Stefano Sollima adesso è diventato un regista coi controcazzi che merita il rispetto di chi è stato “COL LIBANESE!!!!”. Voto 7,5

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