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Barbie

Regia di Greta Gerwig vedi scheda film

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La recensione su Barbie

di giurista81
8 stelle

Bisogna ammettere che ideare, scrivere e realizzare un film su Barbie era qualcosa di pressoché impensabile, salvo scivolare in quei prodotti trash che “insozzano” le sale cinematografiche prima e le mensole delle rivendite dvd/blue ray poi. Ne sa qualcosa la Mattel, che qua partecipa in veste di finanziatrice, quando negli anni ottanta tentò di realizzare il film sul corrispettivo maschile di Barbie ovvero He-Man. Masters of the Universe, con l'allora emergente biondone Dolph Lundgren. Fu un fiasco clamoroso, sia sul versante economico che su quello cinematografico in senso stretto, sebbene il soggetto fosse senza dubbio dotato di possibilità di realizzazione cinematografica, vuoi per essere un prodotto derivativo di un cartoon (e quindi con un plot già delineato), vuoi per le similitudini – sebbene votate al fantasy più sfrenato – con un film di successo come Conan Il Barbaro. Un precedente disastroso che non ha spaventato le due fautrici del “miracolo” Barbie: la regista Greta Gerwig e la produttrice nonché protagonista Margot Robbie. Le due, entrambe titolate e già lanciate nell'olimpo hollywoodiano (cinque candidature agli oscar in due; la prima per migliore regia e migliori sceneggiature, la seconda come migliore attrice protagonista e non protagonista), riescono nel miracolo e sfornano probabilmente il film dell'anno. Barbie è una commedia costruita su una massiccia quantità di ironia che riesce nel pazzesco compito di distruggere il messaggio di perfezione e di bellezza delle forme (anteposte alla sostanza nell'immaginario Mattel) proprio del giocattolo di Barbie per rimodulare il tutto in nome di un qualcosa di diverso che resta comunque Barbie ma la evolve sul piano intellettuale. Un'operazione concettualmente assurda che eleva il marchio e la bambola per eccellenza muovendo dalla distruzione della stessa verso una costruzione di altro che mantiene la medesima immagine esteriore. Un concetto questo sottolineato più volte nel film, quando ogni variazione - sulla carta catastrofica - che avviene a Barbieland si tramuta in un successo economico nella vita reale in fatto di vendite. La Gerwig fa propria la sceneggiatura e sembra quasi offrire un saggio di bravura sul come trasformare un materiale trash in un film con velleità da oscar (avrà contro avversari agguerriti, a partire da Christopher Nolan, ma strapperà diverse candidature). La pellicola prende l'abbrivio con un pomposo prologo che rimanda a 2001 Odissea nello Spazio (la sequenza con l'evoluzione degli oranghi che acquisiscono le basi evolutive per tramutarsi in uomini) e con un'esaltazione di quella che io chiamo “carrozzeria femminile” anteposta alla sostanza. Da qui, a poco a poco, si delinea il film in una stretta correlazione tra il mondo reale e il mondo fantastico, che rimanda al concetto divino di creazione nel rapporto tra Uomo (qua donna) e Dio (qua ancora una volta donna, ovvero la tipa anziana). Le modifiche apportate alla bambola dagli ideatori della stessa nella sede di Los Angeles portano a modifiche effettive nel corpo di Barbie (la splendida Margot Robbie), così come le evoluzioni di Barbieland (dovute all'esperienza maturata nella vita reale dall'imbranato Ken, interpretato da un divertito Ryan Gosling, sempre pronto a mettere in evidenza i muscoli intesi quale sinonimo di idiozia) si riflettono sui giocattoli del mondo reale. Barbie scoprirà, nella sua relazione col mondo reale finalizzata a eliminare i difetti che si è ritrovata a riscontrare, l'importanza di altri valori (superiori, come dimostra la scelta finale di calzare sandali anziché scarpe con tacco a spillo) che vanno oltre i meri canoni estetici fino a desiderare, da novello Pinocchio in versione femminile, di tramutarsi in umana sebbene abbia scorto la sofferenza e il male che fanno parte della vita di tutti i giorni. Le pervengono idee di morte, il terrore della vecchiaia e il deterioramento del corpo e della psiche, tutti sintomi di una maturità che non è propria dei soggetti che, da perfetti Lucignoli, vivono nel paese dei balocchi (qua a tutti gli effetti) senza porsi domande sul domani (e sull'aldilà). La Gerwig sembra scatenata dietro alla macchina da presa, offrendo la sensazione che si sia divertita non poco nell'ideazione e nella trasformazione filmica del progetto. Plasma un fantasy che oscilla tra musical e commedia, con un'ironia di fondo decisamente graffiante e ultra marcata. Lode alla Mattel che non si prende sul serio e si auto-dileggia, con una serie di amministratori che sono dei veri e propri idioti tutti sopra le righe. I personaggi del film, infatti, sono grotteschi nei modi di fare e hanno reazioni fanciullesche che simulano i giochi di bimbi. Attraverso l'ironia, la Gerwig evidenzia i difetti tipici delle donne e dei maschi, con l'inevitabile cliché di “lui ama lei, ma lei non se lo fila, però gli scodinzola mandandolo in brodo di giuggiole e facendogli mostrare i muscoli”. Geniale la sequenza in cui le donne riprendono il possesso del mondo mettendo gli uomini uno contro l'altro semplicemente facendoli ingelosire così da portarli a scagliarsi contro quello che vedono come il potenziale contendente, senza accorgersi di essere tutti pedine manovrate dalla bellezza femminile.

Si noti come tra gli elementi centrali per il risveglio delle barbie vi sia la barbie punk, chiaro rimando alla Harley Quinn di Suicide Squad interpretata dalla Margot Robbie che, avendo interpretato anche Tonya, si conferma un'attrice con una certa simpatia per la ribellione e i personaggi che rompono gli schemi. Da notare anche la citazione a Fight Club, quando viene detto alle Barbie che non sono quello che gli altri intenderebbero che esse fossero (un'idea), ma dei soggetti capaci di autodeterminarsi così da superare l'impostazione del loro creatore e ascendere al rango di umano a tutti gli effetti (altro messaggio ascetico). Centrale il discorso, fatto da un'ispirata America Ferrera, finalizzato a cancellare la manipolazione di fondo che programma la mente delle donne (pensate agli attuali influencer o alla moda) al fine di stimolare l'autocoscienza, il ruolo a cui potrebbero ambire e la vera loro evoluzione che potrebbe derivarne con il relativo superamento di generi, classi sociali e sessismo.

Costumi e scenografie volutamente patinate e sgargianti, con dominanza del fucsia. La Gerwig, con i suoi scenografi, rende bene l'idea delle scenografie fittizie. Barbieland è un grande gioco in cui si muovono giocattoli e dove tutto è finto, mera riproduzione di una realtà che non ha gli elementi per poterla mutuare in modo perfetto (si vedano le onde del mare di plastica). Una finzione di vita che intenderebbe emulare la realtà, ma che tale non è, restando solo un'illusione di vita. Le bambole (verrebbe da dire l'uomo) esistono solo perché il suo creatore e i destinatari dell'invenzione (i bambini dell'ideatore) continuano a giocare con loro, altrimenti verrebbero cancellate. Un concetto quest'ultimo che ribalta l'impostazione proprie di certi romanzi fantastici (penso al Malpertuis di Jean Ray) dove si dice che gli dei e lo stesso Dio esistono solo perché gli uomini continuano a rivolgersi a loro attraverso la preghiera, altrimenti anche gli dei finirebbero per essere cancellati. Qua avviene l'opposto. A mio modo di vedere, un film ottimo, probabilmente sottovalutato da molti che (un po' come avviene a Barbie) si soffermano sulla forma e sui tanti omaggi (che io, per ovvie ragioni, non sono in grado di cogliere) legati ai vari modelli dei giocattoli effettivamente realizzati negli anni ottanta, molti dei quali mostrati nei titoli di cosa. Barbie è dunque un film sopra le aspettative. Appuntamento alla notte degli oscar.

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