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L'esca

Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film

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La recensione su L'esca

di degoffro
8 stelle

Rec breve

Pur leggermente didascalico e dimostrativo, "L'Esca" è capace di lasciarti addosso una strana e inquietante sensazione di disagio e fastidio per quanto è sconvolgente, cupo, senza speranza. Tavernier, anche sceneggiatore con la ex moglie Colo O'Hagan, mostra con impietosa lucidità ed amara consapevolezza il vuoto etico e la desolante abulia in cui si è precipitati. Non cerca sensazionalismi o scandali a buon mercato (le violenze dei ragazzi sono sempre fuori campo). Si rifà al Terrence Malick de "La rabbia giovane" per attestare lo stato delle cose, quello che lui stesso ha definito "lo stato di emergenza" per stimolare la riflessione affinché siano per primi gli adulti a scuotersi dal loro preoccupante menefreghismo e torpore. In questo "L'esca" diventa un film prezioso, angosciante, urtante: nel metterci tristemente e dolorosamente di fronte ad una generazione alla deriva che non ha più voglia di sacrificarsi ed impegnarsi. Una generazione che, come riflette il regista "non ha più debiti: ha solo desideri" rispetto alla quale però l'errore più grave ma anche più facile sarebbe quello di ammettere rassegnati la propria inadeguatezza. (De)generazionale.

Voto: 7+


"La storia di questo film si ispira a fatti realmente accaduti a Parigi negli anni ottanta. Il regista l'ha ambientata ai nostri giorni cambiando i nomi dei personaggi." Con questa didascalia si apre il film che Bertrand Tavernier ha dedicato alla gioventù sbandata, irresponsabile e senza valori di oggi, traendolo dal romanzo inchiesta di Morgan Sportès che ricostruiva minuziosamente le gesta efferate di tre giovani delinquenti. Devo ammettere che a una prima visione "L'esca", discusso Orso d'oro al Festival di Berlino, mi aveva un poco irritato. Soprattutto non mi convinceva il parallelismo, ai miei occhi fin troppo semplicistico e ovvio, tra la visione di film come "Scarface" di De Palma (in una sequenza i ragazzi lo guardano in tv per l'ennesima volta, rapiti ed entusiasti) e la violenza di cui quegli stessi giovani si rendono responsabili. Non metto in discussione il fatto che un certo tipo di cinema e di televisione possa avere una forte presa e un'influenza altamente negativa su ragazzi fragili e superficiali ma mi infastidiva più che altro l'insistenza sfacciata con cui Tavernier sottolineava il suo assunto (in un'altra sequenza i protagonisti in videoteca noleggiano film come "Trappola in alto mare" o "Nightmare 6", bocciando senza appello anche il cinema del loro paese: "Lascia perdere, è francese: deve essere una stronzata!" è il loro chiaro commento). Inoltre non condivid(ev)o la presa di posizione estremamente radicale e riduttiva, anche fastidiosamente moralistica e sottilmente presuntuosa, del regista nei confronti dell'America e della sua cultura del benessere e del successo fine a se stesso, cultura dominante ed invadente, o meglio lobotomizzante, vista come principale, se non unica, causa della degenerazione etica moderna. Il regista fa solo un fugace accenno, per esempio, alle manchevolezze di genitori assenti, svogliati o distratti. Continuo a considerare "L'esca" un film leggermente didascalico e dimostrativo, non certo il migliore del suo autore: meno incisivo e profondo per esempio di "Legge 627" e "Ricomincia da oggi", gli altri due titoli militanti di Tavernier degli anni novanta, a tratti programmatico, ripetitivo, quasi monotono, scelta peraltro forse consapevole da parte del regista per meglio rappresentare l'esistenza annoiata e stanca dei suoi ragazzi. Eppure "L'Esca" è capace di lasciarti addosso anche una strana e inquietante sensazione di disagio e fastidio per quanto è sconvolgente, cupo, senza speranza (ed è di gran lunga superiore al di poco successivo, pasticciato, "Amanti criminali" di Ozon). A disturbare non è tanto o solo l'ossessione quasi divorante dei protagonisti per il denaro facile ed il successo ("Dobbiamo rimediare i soldi, inventiamoci qualcosa!"), la loro cieca adesione alla sterile cultura del consumismo, della ricchezza e dell'apparire (hanno il mito dell'America, perché "laggiù sfondiamo soprattutto nel pret-a-porter: l'America non è l'esagono!") quanto la loro assoluta mancanza di coscienza e di morale. Ad un certo punto Bruno afferma: "E' facile uccidere, non ci vuole niente. Tutti lo possono fare!". L'omicidio diventa una banale necessità, un incidente di percorso, quasi uno scherzo che rende ancora più eccitanti le loro azioni criminali (ad un certo punto i ragazzi commentano divertiti e compiaciuti il fatto che la polizia, dopo il primo delitto, sia completamente fuori pista). Non c'è paura, non c'è preoccupazione, non ci sono scrupoli, nemmeno rimorso o pentimento se è vero che la mattina dopo il primo delitto Nathalie si infastidisce solo per il fatto che Bruno abbia lasciato i suoi jeans sporchi di sangue nel bidé. Ed è proprio il personaggio di Nathalie, interpretato dall'ottima e glaciale Marie Gillain (per lei e il suo partner Olivier Sitruk nomination ai César quali migliori promesse), a spiazzare ed allarmare. La sua freddezza, indifferenza, incoscienza e sfacciataggine sono disarmanti. In una celebre ed atroce sequenza la ragazza si isola dal resto del mondo, ascolta nelle cuffie la musica e guarda su un grosso schermo videoclip, mentre i suoi due amici, nella stanza accanto, stanno massacrando la prima vittima. L'impotenza, lo smarrimento e la rabbia dell'ispettore che la interroga (piccola ma fondamentale partecipazione di Philippe Torreton, già con Tavernier in "Legge 627" poi magistrale protagonista di "Ricomincia da oggi" e "Capitan Conan") sono anche i nostri. Si rimane senza parole di fronte all'apatia, al candore, alla noia ed all'insensibilità di Nathalie. Mentre viene condotta in commissariato domanda innocente ai poliziotti: "Non mettete la sirena? Con la sirena avremmo già superato tutti quanti!". Dopo che ha confessato i crimini commessi e fatto arrestare i suoi complici, chiede con la medesima indisponente ingenuità se finalmente può raggiungere il padre per Natale. Come se nulla fosse, come se quello che è successo rientrasse nell'ordine naturale delle cose. Semplicemente un gioco più pericoloso di altre volte, conclusosi male: un piccolo e doveroso rimprovero poi tutti a casa per tornare a divertirsi, ricominciare da capo. Il vero e peggior dramma è l'aver toccato il fondo, in questa spirale infernale, senza però rendersene minimamente conto. Tavernier, anche sceneggiatore con la ex moglie Colo O'Hagan, mostra con impietosa lucidità ed amara consapevolezza il vuoto etico e la desolante abulia in cui si è precipitati. Non cerca sensazionalismi o scandali a buon mercato (le violenze dei ragazzi sono sempre fuori campo). Si rifà al Terrence Malick de "La rabbia giovane", non a caso fatto vedere ai suoi attori prima delle riprese e a sua volta ispirato ad episodi realmente accaduti, per "ritrovare lo stesso sguardo di Malick sui suoi personaggi. Lo stesso modo di parlare dell'inconscio di un paese attraverso il comportamento molto fisico dei personaggi" (Tavernier). Non ha l'arroganza di proporre facili rimedi o banali soluzioni, ben conscio della gravità della situazione. Attesta lo stato delle cose, quello che lui stesso ha definito "lo stato di emergenza" per stimolare la riflessione affinché siano per primi gli adulti a scuotersi dal loro preoccupante menefreghismo e torpore. In questo "L'esca" diventa un film prezioso, angosciante, urtante: nel metterci tristemente e dolorosamente di fronte ad una generazione alla deriva che non ha più voglia di sacrificarsi ed impegnarsi, con la mentalità del tutto subito, senza sforzi né fatica (in una scena la nonna chiede sconsolata a Eric "E tu ti metterai a lavorare un giorno?"), perché "a 25 anni chi non si dà una mossa è fottuto!" Una generazione che, come riflette il regista "non ha più debiti: ha solo desideri" rispetto alla quale però l'errore più grave ma anche più facile sarebbe quello di ammettere rassegnati la propria inadeguatezza. Da ricordare un simpatico aneddoto riguardo alla premiazione a Berlino, quando "L'Esca" fu preferito dalla giuria al super favorito "Smoke" di Wayne Wang e Paul Auster. Nel ritirare l'Orso d'oro, con estrema ironia, Tavernier disse alla platea che aveva fischiato la sua vittoria: "Sono d'accordo con voi ma cosa ci posso fare?" suscitando le risate in sale e andandosene tra gli applausi. Dovrebbe vedersi nelle scuole, ma in Italia è uscito vietato ai minori di 18 anni e sulle tv in chiaro credo non sia mai andato in onda nemmeno a notte fonda. In Francia è stato distribuito vietato ai minori di 12 anni e trasmesso in televisione su Antenne 2 alle 20,30 come un vero e proprio evento, sia pure dopo l'intervento risentito di Tavernier che lamentava il fatto che il servizio pubblico trasmettesse in prima serata film americani stupidi e violenti relegando le opere francesi di qualità a tarda sera.

Voto: 7+

 

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