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Cocaine Prison

Regia di Violeta Ayala vedi scheda film

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La recensione su Cocaine Prison

di obyone
7 stelle

scena

Cocaine Prison (2017): scena

 

"A causa di questa pianticella ci sono un sacco di scontri. Alcuni vogliono sterminare questa pianta. Altri invece no... È per questo che la gente viene uccisa. Io non voglio che venga sterminata... Tutta questa gente come fa a vivere?... Quella che vive con la coca, come la mia famiglia..." Bastano i primi due minuti di questo documentario perché Daisy, figlia di contadini, seconda di 6 fratelli, arrivi al nocciolo della questione. La coca è una fonte di guadagno, benché misera, per i numerosi campesinos boliviani, di origine amerinda, che ancora vivono lontano dalle grandi città. È un'entrata indispensabile per campare dignitosamente. Il problema semmai è che a farci i soldi sono altri. Sono pochi, estremamente avidi, senza scrupoli e pronti a dare in pasto i poveracci, nel loro libro paga, bisognosi di denaro per le famiglie. Certo ci sono anche giovani ingenui come Hernan, fratello di Daisy, che si è fatto pizzicare con la roba al confine tra Bolivia e Argentina cercando un modo facile per procurarsi quel gruzzolo che gli serviva per comprare la batteria. Ma la maggior parte dei miserabili coinvolti nella filiera è gente come Mario che non riesce a mantenere i suoi quattro figli col poco lavoro che c'è. Lui l'hanno beccato che faceva il pisa-coca. Era il suo primo giorno di lavoro. Fatale.

 

scena

Cocaine Prison (2017): scena

 

La regista boliviana Violeta Ayala ha raccolto le testimonianze di Hernan e Mario all'interno del carcere di San Sebastian, un palazzo con un grande cortile interno che forse ebbe un passato migliore di quello odierno e soprattutto non era nato come penitenziario. Non ci sono celle in questo carcere e gli uomini (oltre 700 stipati come sardine) se ne stanno fuori tutto il giorno, nell'aia, come animali da cortile a razzolare. Non ci sono divise, e nemmeno dei secondini si avverte la presenza. I detenuti che hanno qualche soldo possono comprarsi una celletta e ammonticchiare le proprie cose. Gli altri dormono per terra, nei corridoi, nei ballatoi, nei pianerottoli sperando di non finire nelle mire di qualche malintenzionato. Tutti, però, sono accomunati dalla stessa sorte: non hanno abbastanza danaro pe uscire da lí perché in Bolivia esce di prigione solo chi è ricco. I boss della droga li hanno lasciati a marcire in quello stabile dal tetto rattoppato di lamiere, sicuri del silenzio dei propri "cocaine prisoners". Il documentario è quasi interamente girato all'interno delle mura carcerarie alternando il lavoro della regista, che usa una camera professionale, ai i video girati dai protagonisti della vicenda ai quali Ayala ha lasciato delle piccole fotocamere. L'alternanza dei filmati più grezzi, dalla grana maggiore, con i video della troupe è piacevole e rende più genuino l'apporto dei protagonisti. Dal punto di vista dei contenuti c'è molta carne al fuoco: i diritti violati dei reclusi, l'abuso della carcerazione preventiva, l'annoso problema della produzione e dello spaccio della cocaina, la condizione di miseria in cui si trova la maggior parte della popolazione quechua, l'arretratezza culturale delle fasce più fragili della società. Tanta abbondanza non stona e consente alla regista di tratteggiare con esaustiva diligenza la complessità del paese sud americano pur rimanendo all'interno di un ambiente ristretto. Ayala racconta l'umanità variegata del carcere e le storie personali narrate dagli stessi protagonisti concedendoci l'ora d'aria allorché segue i movimenti di Daisy, oppressa dal desiderio di aiutare il fratello facendo essa stessa il corriere della droga. Su tutto aleggia la rassegnazione degli uomini di Cochamamba e il desiderio di comunicare con le famiglie abbandonate nel bisogno. C'è, tuttavia, spazio per un po' di ottimismo. La promessa di rivedere il sistema di carcerazione preventiva a seguito dell'indulto presidenziale e la promozione di Daisy, che a contrario del fratello, ha scelto la via più irta dello studio per affermare se stessa. Per lei, che sogna di coltivare fiori laddove crescono le piante di coca, il destino sembra più roseo. Per tutti gli altri, come Hernan, l'uscita dal carcere non rappresenta un cambio di prospettiva. La coltivazione e la produzione di droga rimangono là ad aspettare i miserabili che chiedono pane da infilare tra i denti. Come tante piccole formiche che trasportano i frammenti di foglie di coca a seguito della raccolta, la gente povera raccatta quello che può e porta a casa l'indispensabile. Finale poetico che sconfina nella rassegnata tristezza.

 

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scena

Cocaine Prison (2017): scena

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