Espandi menu
cerca
Fiorile

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film

Recensioni

L'autore

luisasalvi

luisasalvi

Iscritto dal 26 dicembre 2004 Vai al suo profilo
  • Seguaci 15
  • Post 16
  • Recensioni 835
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Fiorile

di luisasalvi
8 stelle

Elisabetta, travolta e ferita durante una incursione di nobili toscani contro truppe francesi di Napoleone, è soccorsa da Jean, che aveva l'incarico di proteggere l'oro dei francesi, trasportato a dorso di mulo; lui (nobile?) la rispetta e dopo averle fasciato la coscia la ricopre mentre lei è svenuta; rinvenuta, è più disinvolta di lui e i due si amano. Jean la ribattezza Fiorile, dal nome del mese primaverile nel calendario della rivoluzione francese. Corrado, fratello di lei, trova il mulo, che gli apparteneva, e lo riprende, ma quando vede l'oro vuole restituirlo, poi è tentato di tenerne qualche moneta. La madre insiste per la restituzione, poi a sua volta accetta l'idea di tenerne qualche moneta. I soldati minacciano di uccidere Jean se l'oro non viene restituito. Il padre ignaro sprona chiunque l'abbia rubato a restituirlo e assicura sull'onestà di tutto il villaggio, ma quando scopre che la figlia è stata "sedotta" proprio da Jean vuole andarlo ad uccidere; la moglie allora gli racconta tutto e suggerisce di tenere l'oro, in modo che Jean venga ucciso senza rischi e l'oro serva per coprire il disonore della figlia; questa, dopo la morte di Jean, vorrebbe vendicarlo uccidendo il ladro, ma non scopre che è il fratello. Cento anni dopo si ripete una vicenda simile, con gli stessi attori per i due fratelli, ora Elisa e Alessandro: lei è innamorata di un fittavolo, di cui rimane incinta; il fratello, ben peggiore del suo antenato (come può essere peggiore un ricco politicante rispetto ad un povero contadino) paga il viaggio in Argentina a tutta la famiglia di lui, per consentirle di raggiungere il capofamiglia che vi era emigrato, a condizione che venga portato via anche il giovane amante; anche la seconda Elisa resta così sola e incinta, ma lei viene a sapere per caso che il fratello è responsabile e lo avvelena. Poi l'attuale proprietario, Massimo, più simile a Jean (è lo stesso attore) deriso nell'infanzia per questi fatti, di cui si vergogna, si innamora di una partigiana che lo manda a prelevare un "nemico" che si fida di lui, per farlo uccidere, ma esita, forse per paura (anche lui idealista ma pauroso, come Jean?), ed è catturato dai fascisti, che fucilano i suoi compagni ma risparmiano lui, rampollo di una casata divenuta importante proprio per quei suoi soldi "maledetti" che lo facevano disprezzare. Ne "impazzisce" e fa educare il figlio, nato dalla compagna partigiana, a Parigi, terra d'origine del soldato napoleonico che aveva portato invano gli ideali di fraternità, uguaglianza e libertà che in Italia non sono ancora conosciuti. Infine i suoi due nipotini, maschio e femmina, ripetono il doppio volto, di amore e di avidità, presente nella famiglia, anche se sono stati educati a Parigi, lontano dalle leggende famigliari.
Si tratta di una vasta metafora sulla condizione umana, non di considerazioni storiche, come molti critici affermano, parlando di due anime della borghesia, la capitalistica e la libertaria: non sono tali i primi, né Jean (peraltro nobile, almeno all'apparenza, pur essendo rivoluzionario) apparteneva alla famiglia; in certo senso non è tale neppure Massimo, ormai "nobile" e forse intellettuale… Semmai c'è il tema di "amore e morte" in cui la madre muore di parto e/o il padre viene ucciso o allontanato subito dopo il concepimento, o l'erede viene allontanato (l'ultimo, a Parigi). Come spesso nei fratelli Taviani, una favola triste, e scontro di ideali o di interessi e delusione o riserve o stanchezza per gli ideali rivoluzionari…
Il tema dell'oro sembra ingannevole e apparente, anche se determina il racconto e lo conclude: i due bimbi francesi scannano il pupazzo del francese per cercare l'oro nel suo interno, e forse lo trovano, dato che il ragazzo alla fine ha una moneta d'oro in mano... Ma anche fra i due bimbi c'è differenza. Si ripetono le differenze di classe, le opposizioni ai matrimoni d'amore, le violenze e gli omicidi. Tutti i figli sono illegittimi e orfani di madre e in pratica di padre: il primo ucciso, il secondo forzato a emigrare, il terzo allontana il figlio e lo fa vivere a Parigi per liberarlo dalla maledizione... o piuttosto dalla mentalità italiana, sorda agli ideali della rivoluzione francese?
Molto più chiaro e coerente dei precedenti film dei Taviani, e fra i più belli (anche se in altri ho trovato maggiori punte di poesia): la doppia componente nel sangue dei "Benedetti" (chiamati popolarmente "Maledetti" non solo a causa delle leggende ma anche di molte loro prepotenze padronali), di avidità di denaro e potere (prima l'oro, poi il successo politico; infine, forse, la paura per l'amor proprio ferito?), e di sogni d'amore e di ideali rivoluzionari (ma sono sempre nobili anche nella pratica?) convive nel mondo, forse in ogni uomo, e diventa metafora umana generale. Il ricordo (ed i nobili ideali) di Jean, fucilato (con rincrescimento!?) dai compagni per non aver saputo custodire l'oro che gli era stato affidato, rinasce nell'ultimo proprietario, che lo sogna da bambino come consigliere e conforto, poi ne fa l' immagine in un manichino che alla fine relega in soffitta, forse imbottito dell'oro rimasto, se è vero che i bimbi ne trovano sventrandolo. Bella, se pur didascalica, la scena conclusiva in cui il vecchio sale a parlare al manichino che i due bimbi hanno appena sfasciato e sostituiscono indossandone gli abiti e montando la bimba sulle spalle del fratello; lei si commuove alle parole del nonno, mentre lui ne ride: sempre le due anime dei Benedetti-Maledetti.

Su Paolo Taviani

TAVIANI, Paolo e Vittorio. Discontinui, a volte noiosi o addirittura irritanti, altre volte altamente poetici, a volte nello stesso film si alternano i due aspetti. C'è sempre un tono di favola, forse perfino in Un uomo da bruciare, se lo ricordo bene, ma anche molta violenza, sempre descritta in tono favoloso, a volte evocata da ricordi di bambini (e narrata ad altri bambini, come ne La notte di san Lorenzo), con la stessa (apparente) raccapricciante indifferenza con cui essa è raccontata nelle favole, dove è gratuita, diffusa, parte inevitabile della vita. Non vi trovo l'impegno sociale e politico che molti vi leggono: anche la rivoluzione è violenza, anche gli ideali rivoluzionari possono venire a noia o suonare infantili. Forse solo l'arte unisce e supera le violenze e le ingiustizie. E forse questo è il senso e la "giustificazione" del loro sempre più marcato calligrafismo.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati